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Addio Jakarta, l’Indonesia cambia capitale: sarà una città-foresta (ma forse un disastro ambientale)

La capitale Jakarta sta collassando e dunque il governo ha annunciato un anno e mezzo fa la costruzione di Nusantara, nel Borneo. Il progetto però va a rilento ed è già costato la distruzione di 20 mila ettari di foresta pluviale e la contaminazione del sistema idrico

Addio Jakarta, l’Indonesia cambia capitale: sarà una città-foresta (ma forse un disastro ambientale)

Mentre Jakarta con i suoi oltre 11 milioni di abitanti sta sprofondando a causa del cambiamento climatico e del conseguente innalzamento del livello degli oceani, l’Indonesia ha già iniziato a costruire la sua nuova capitale, che dovrebbe essere pronta nel 2045: si chiamerà Nusantara, sorgerà sull’isola del Borneo, costerà 32 miliardi di dollari e nei piani del governo sarà una città-foresta, ovvero una di quelle utopie ecologiche che vanno di moda di questi tempi in Asia per sostituire il modello ormai superato delle attuali metropoli, super inquinate e a rischio collasso a causa del sovrappopolamento e del riscaldamento globale.

In Asia va di moda spostare le capitali

Lo hanno già fatto Myanmar con la nuova capitale Naypyitaw e la Corea del Sud con Sejong City, di fatto diventata – con i suoi appena 300.000 abitanti – il centro amministrativo del Paese, per decongestionare la capitale Seul. Idem sta facendo la Cina, che non lontano da Pechino sta costruendo ex novo Xiong’an, che entro il 2035 diventerà l’hub direzionale per servire il triangolo economico Pechino Tianjin-Hebei, il cosiddetto “Jing-Jin-Ji cluster”, vale a dire un’area popolata da circa 110 milioni di persone e da oltre 1.500 miliardi di dollari di Pil.

Il piano indonesiano: creare una citta-foresta

Il piano indonesiano, annunciato a fine 2022 dal popolare presidente di centrosinistra Joko Widodo e che ora verrà portato avanti dal successore, l’ex militare sovranista e filorusso Prabowo Subianto, è di una città-foresta, o per meglio dire una “città-spugna”, in grado cioè di assorbire le precipitazioni sempre più abbondanti e violente delle fasce climatiche tropicali. La stessa idea potrebbe averla la Thailandia che vorrebbe “rottamare” Bangkok, ma prende sempre più piede tra gli esperti la tesi secondo cui intervenire massicciamente sulle città esistenti non sarebbe in fondo più costoso che costruirne daccapo delle altre. Ed eviterebbe di dover disboscare altre aree verdi per lasciare spazio, sebbene con tutti gli accorgimenti del caso, a strade e palazzi. Insomma costruire una città sostenibile non sarebbe poi così sostenibile, secondo alcuni tecnici come il cinese Kongjian Yu, professore all’università di Pechino e teorizzatore delle “città-spugna”: “Costruire una città nuova crea comunque maggiori disagi alle persone, che saranno costrette a trasferirsi. E in ogni caso nessuna città avrà mai la certezza di durare per sempre. Sarebbe meglio intervenire sulle città esistenti riducendo le emissioni di anidride carbonica, raffreddando le aree urbane grazie alle soluzioni offerte dalla natura stessa, cioè il verde, e attrezzandosi per tempo contro l’innalzamento del livello del mare”.

L’allarme di Greenpeace: già distrutti 20 mila ettari di foresta

Tuttavia il presidente Subianto è intenzionato a tirare dritto e dunque salvo giravolte Nusantara, capitale in pectore dell’Indonesia, vedrà la luce. Sebbene non manchi chi dà ragione a Kongjian Yu: secondo Greenpeace, da quando è partito il progetto sono già stati distrutti 20 mila ettari di foresta pluviale, cioè 200 chilometri quadrati, solo per far spazio ai cantieri. “Oggi – avverte Greenpeace – rimangono solo 31.364 ettari di foresta nativa nell’area di Nusantara, inclusa un’area di mangrovie da 12.819 ettari”. Del resto, nemmeno una città green nasce dal nulla, anche se poi l’idea sarebbe quella di creare un sistema di economia circolare mirato a eliminare gli sprechi e a promuovere il riuso continuo delle risorse. Ma non è detto che funzioni: ad esempio l’acqua viene già adesso contaminata dal legno putrefatto e in alcuni punti non è più potabile. Un’area verde ormai danneggiata, come quella dove sorgerà Nusantara, non offre più garanzie in termini di approvvigionamento idrico: per dirla in termini semplici, la costruzione della nuova città potrebbe causare problemi di siccità di cui poi lei stessa e i suoi milioni di abitanti andrebbero a pagare le conseguenze. Senza contare che tutto questo mette in pericolo, oltre alle tribù indigene, un ecosistema faunistico costituito da specie rare e in via di estinzione, come oranghi, scimmie nasiche e leopardi nebulosi.

Ecco perché, nonostante l’occasione ghiotta per le aziende anche estere, il progetto sta in realtà andando a rilento, e al momento di grandi investitori internazionali per erigere la “città del futuro” non se ne stanno vedendo, nemmeno dalla vicina Cina o dall’alleata Russia. Il rischio è che si finisca come con Sejong City, in Corea, che di fatto è spopolata: i suoi abitanti ci rimangono solo per lavorare, dal lunedì al venerdì, mentre nel fine settimana tornano volentieri alla vita caotica di Seul, che dista poco più di 100 chilometri.

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