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Addio a Guido Bolaffi, che in vita seppe pagare un alto prezzo per difendere libertà e verità

Imagoeconomica

Per 45 anni Guido Bolaffi, scomparso improvvisamente domenica, è stato per me più che un amico. Un interlocutore con cui dialogavo con piacere e profitto. Avevamo una concezione del mondo affine. Le poche divergenze riguardavano dettagli, oppure dipendevano da qualche errata informazione. Ci siamo incontrati a Napoli nel 1980, l’anno del terremoto. Io ero a Il Mattino, lui era alla Cgil. Si discuteva delle cause dell’arretratezza del Sud, e della cattiva gestione delle amministrazioni locali, confrontandoci anche con un altro carissimo amico che non c’è più, Massimo Lo Cicero.

Eravamo mossi da una forte volontà di rinnovamento. Auspicavamo un ampio riformismo per rendere definitivo e più produttivo l’aggancio del nostro paese all’Occidente. In questo spirito abbiamo in quegli anni operato, ciascuno nel proprio ambito, per sconfiggere il fenomeno del “disoccupati organizzati“ che erano infiltrati dalla camorra e pretendevano sussidi dalle amministrazioni locali minacciandole con violenza. Proponemmo di dare un sussidio di disoccupazione a tutti loro, in modo da stroncare il potere dei capi popolo che trascinavano le masse promettendo di far ottenere benefici.

Guido Bolaffi, dalla vertenza Fiat al banco di prova dell’immigrazione

Nel 1988 ci fu una famosa vertenza Fiat che si concluse con un accordo separato: FIM Cisl e Uilm firmarono e la Fiom Cgil no. Bolaffi era il negoziatore per la Fiom, era convinto che occorresse firmare, ma fu messo in minoranza, il suo sindacato glielo impedì schierandosi per la linea dura contro i padroni. Fu la rottura. Bolaffi era un serio riformista, non condivideva le posizioni estremiste, era convinto che servissero utili passi avanti. Lasciò il sindacato e fu una scelta dura e difficile. Fu Rino Formica, allora ministro del Lavoro, per primo a capire che Guido Bolaffi era una risorsa da non perdere. L’intelligenza di Guido, insieme con la sua rettitudine, fu poi apprezzata da quella politica che aveva bisogno di competenza tecnica e visione appassionata: Bolaffi rimase a ricoprire incarichi ministeriali importanti, stimato da uomini di governo di vari colori politici. Soprattutto al ministero del Lavoro, di cui divenne segretario generale, si impegnò molto nei problemi sociali e soprattutto nell’affrontare razionalmente il tema dell’immigrazione.

Un tema divisivo ma che veniva e viene ancora oggi affrontato dalla sinistra in termini ideologici e dalla destra sovranista con un improbabile sfoggio di severità (come il blocco navale della Meloni) o con la promessa di deportare milioni di individui fatta da Trump. Il caos che consegue queste scelte opposte e sbagliate era stato previsto già trent’anni fa da Guido Bolaffi che ha dedicato anni a cercare una strada ragionevole tra i due estremi, volti solo ad acchiappare qualche voto senza mai avvicinare la soluzione del problema. O quantomeno una gestione efficiente di un fenomeno epocale che non si affronta né con l’accoglienza tout court, né con la repressione e il respingimento violenti.

Non essersi schierato in maniera faziosa da parte o dall’altra degli schieramenti, essere rimasto una intelligenza autonoma è stata la libertà di Guido Bolaffi e il suo grande fascino umano. Ma è stata anche la causa di una diffidenza che molti, troppi sia a sinistra sia a destra, hanno provato verso di lui, considerandolo alla fin fine se non un nemico da sconfiggere almeno un uomo da accantonare.

La vita di Bolaffi conferma che viviamo in un paese strutturalmente fazioso, dove contano più gli schieramenti che i ragionamenti, più l’appartenenza della competenza. Mantenere la schiena dritta, difendere la propria libertà di pensiero, e la libera ricerca, comporta un prezzo. Bolaffi lo ha pagato. Ma le soddisfazioni che non sono sempre arrivate dalla vita pubblica, non quanto almeno avrebbe meritato, le ha trovate nel privato, nella moglie Carla e nei figli Giulio e Beatrice, oltre che nella stima e nell’affetto dei molti amici.

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