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Addio a Giorgio Napolitano, il Presidente che ha attraversato la storia della nostra Repubblica

Imagoeconomica

È morto all’età di 98 anni l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Da tempo l’ex capo dello Stato era ricoverato in una clinica romana e presentava un quadro clinico particolarmente complesso che si sarebbe ulteriormente complicato lunedì. Aveva subito un intervento all’addome nel maggio del 2022 e una delicata operazione all’aorta il 24 aprile 2018 in seguito a un improvviso malore.

Napolitano ha attraversato la storia della Repubblica, dedicando oltre 70 anni di vita alla politica e alle istituzioni. Primo esponente del Pci a diventare Capo dello Stato, è stato anche il Primo presidente italiano ad aver effettuato un secondo mandato al Colle. Ed è stato inoltre il primo esponente del Pci a compiere una visita ufficiale negli Usa. Oltre agli anni del Quirinale, è stato anche deputato per oltre 40 anni, europarlamentare dal 1989 al 1992, presidente della Camera (subentrando a Oscar Luigi Scalfaro) nel 1992, ministro dell’Interno e per il coordinamento della protezione civile nel Governo Prodi dal 1996 al 1998 e Senatore a vita dal 2005. Sotto il suo mandato di presidente della Repubblica ha conferito l’incarico a cinque presidenti del Consiglio: Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. 

Chi era Giorgio Napolitano

Nato a Napoli il 29 giugno 1925, il padre Giovanni era un avvocato liberale, poeta e saggista, mentre la madre, Carolina Bobbio, era figlia di nobili napoletani di origine piemontese. Ancora giovanissimo si avvicinò presto alla Resistenza e al gruppo di comunisti napoletani e italo-tunisini che prepararono l’arrivo a Napoli di Palmiro Togliatti. Nel ‘45 Napolitano aderì al Partito Comunista Italiano, di cui divenne segretario federale a Napoli e Caserta. Due anni dopo, nel 1947, arrivò la laurea in giurisprudenza.

Eletto alla Camera dei Deputati per la prima volta nel 1953 – e successivamente sempre riconfermato (tranne che nella IV legislatura) nella circoscrizione di Napoli, fino al 1996 -, divenne responsabile della commissione meridionale del Comitato centrale del PCI, di cui era diventato membro a partire dall’VIII Congresso (1956). Tra il 1960 e il 1962 fu responsabile della sezione lavoro di massa e dal 1963 al 1966 segretario della federazione comunista di Napoli. Poi l’ingresso nella direzione nazionale del Partito. 

Nel Pci fu leader del migliorismo amendoliano

Napolitano fu uno degli esponenti storici della corrente della “destra” del Pci, nata verso la fine degli anni ‘60 e ispirata ai valori del socialismo democratico, nel solco della tradizione segnata da Giorgio Amendola. 

All’interno del Partito Comunista fu uno dei leader dell’ala “migliorista”, aperta a rapporti con il Partito Socialista ed estranea a utopie rivoluzionarie. Ricoprì numerosi incarichi e si distinse sempre per le sue posizioni moderate e pragmatiche e per le sue capacità di mediazione, che gli consentirono di essere il primo dirigente comunista italiano a ottenere un visto per gli Stati Uniti, dove nel 1978 tenne una serie di conferenze.

Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 entrò in conflitto con Enrico Berlinguer criticandone l’assestamento a sinistra in chiave antisocialista. In un famoso articolo pubblicato dall’Unità nell’estate nel 1981, Napolitano avvertì Berlinguer sui pericoli del settarismo e dell’isolamento parlamentare verso cui, disse, rischiava di trascinare il Pci al solo scopo di battere i “familiari sentieri” della lotta di classe. Nello stesso anno affermò che il riformismo europeo è “il punto di approdo del Pci”.

Tangentopoli e lo scontro con Craxi

Nel ‘92 subentrò a Oscar Luigi Scalfaro alla presidenza della Camera dei Deputati. Erano gli anni di Tangentopoli in cui Napolitano instaurò un durissimo scontro con l’allora leader del Psi, Bettino Craxi culminato con la diatriba sul voto segreto. Dopo la seduta del 29 aprile 1993, in cui alcune delle richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi furono respinte dalla Camera a voto segreto, Napolitano convocò la Giunta per il Regolamento e dispose che le deliberazioni della Camera sulle autorizzazioni a procedere fossero votate in maniera palese. Innovando così una prassi parlamentare ultrasecolare, la Presidenza della Camera – e quella del Senato, retta da Giovanni Spadolini, che adottò analoga deliberazione – si evitò che le proposte di concessione dell’autorizzazione richiesta dalla magistratura fossero respinte nel segreto dell’urna da quello che era stato ribattezzato il “Parlamento degli inquisiti”.

Nel’94, tornato sui banchi parlamentari, fu incaricato dal Pds di pronunciare la dichiarazione del voto di sfiducia al governo Berlusconi. Al termine del suo intervento, il Cavaliere si congratulò con lui per il suo auspicio di “una linea di confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione” e gli strinse la mano. 

Napolitano diventa Presidente della Repubblica

Il 10 maggio 2006, alla quarta votazione, Napolitano fu eletto presidente della Repubblica Italiana, l’11esimo della storia, con 543 voti su 990 votanti. Fu il primo esponente politico proveniente dal Pci a diventare presidente della Repubblica, nonché il primo proveniente da un gruppo parlamentare (in questo caso, L’Ulivo) dopo la caduta della cosiddetta Prima Repubblica. 

L’insediamento del Presidente Giorgio Napolitano – 15 maggio 2006

Poi arrivò uno dei periodi più duri della storia d’Italia, con la crisi del debito sovrano. Era l’autunno 2011, lo spread arrivò alla soglia record di 585 punti base, l’Italia era sotto attacco degli speculatori internazionali. Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio, decise di fare un passo indietro e rassegnare le dimissioni. Solo 24 ore dopo Napolitano nominò Mario Monti senatore a vita per poi conferire l’incarico di guidare un governo tecnico.

Proprio nella fase di formazione del governo Monti, il ruolo del Capo dello Stato fu di fondamentale importanza, tanto che, in un editoriale del 2 dicembre 2011, il New York Times attribuì al presidente Napolitano il soprannome di “Re Giorgio” per la sua “maestosa” difesa delle istituzioni democratiche italiane. Nel dicembre di quell’anno, il settimanale l’Espresso nominò il 2011 “l’anno di Napolitano” e, di conseguenza, lui stesso “uomo dell’anno”.

Il secondo mandato di Napolitano al Quirinale

Alle elezioni politiche del 2013, nessuno degli schieramenti in campo ottenne la maggioranza per governare il Paese. L’Italia era senza un Governo nel pieno delle sue funzioni e, per di più, il mandato del presidente della Repubblica stava per scadere. Così, il 20 aprile del 2013 un ampio schieramento trasversale del neo-eletto parlamento chiese a Napolitano la disponibilità a essere rieletto come Presidente della Repubblica. Nonostante avesse più volte manifestato la propria indisponibilità, alla fine disse sì e venne riconfermato alla carica, alla sesta votazione, con 738 voti su 997 votanti. Napolitano è divenuto così il primo presidente nella storia della Repubblica Italiana (Il secondo è l’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella) a essere eletto per un secondo mandato.

È diventato celeberrimo il durissimo discorso pronunciato il 22 aprile del 2013 a Camere riunite e rivolto ai partiti che non erano stati capaci di eleggere un nuovo presidente. 

“È emerso, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere il supremo compito costituzionale dell’elezione del capo dello Stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare, per quanto potesse costarmi l’accoglierlo, mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese […]. È a questa prova che non mi sono sottratto, ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”.

Discorso alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – 22 aprile 2013

Dopo aver passato in rassegna tutti gli errori compiuti dai partiti, il Presidente concluse il suo intervento con parole di fuoco:

“Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana […]”. 

Discorso alle Camere del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – 22 aprile 2013

Il giorno successivo Napolitano aprì le consultazioni volte alla formazione del nuovo governo e il 24 aprile diede l’incarico a Enrico Letta di formare un suo esecutivo, ritenuto il primo “governo di larghe intese” nella storia repubblicana, con l’alleanza tra Pd e Popolo delle libertà. Il Governo andrà avanti fino al 22 febbraio 2014, quando Letta lasciò il posto a Matteo Renzi. 

Passò meno di un anno e il 14 gennaio 2015 Napolitano rassegnò le proprie dimissioni, per problemi legati all’età avanzata, dopo averle anticipate nel suo discorso di fine anno agli italiani.

Messaggio di fine anno del Presidente Napolitano – 31 dicembre 2014

°°°°FIRSTonline esprime tutto il suo cordoglio e la partecipazione al dolore della famiglia Napolitano, della moglie Clio e dei figli Giovanni e Giulio.

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