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Addio a Gimondi, il campione gentiluomo che vinse tutto

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“Dietro alla sua ruota ci sarò”, dice un verso della canzone di Enrico Ruggeri dedicata a Felice Gimondi, tante volte secondo alle spalle di Eddy Merckx nel ciclismo degli anni 60 e 70. Ma senza Gimondi non sarebbe stato così immenso lo stesso Merckx. Perché vincere tre Giri d’Italia, un Tour, una Vuelta, un campionato del mondo, una Roubaix, una Sanremo e due Lombardia in un’epoca in cui imperversava il Cannibale belga fa di Gimondi uno dei più grandi ciclisti di ogni tempo.

Con la sua scomparsa se ne va un personaggio, schivo e riservato che in 14 anni di carriera dal 1964 al 1978 ha conquistato il cuore degli italiani, anche per il suo modo di accettare le tante sconfitte subite da Merckx dopo aver dato sempre tutto per poterlo battere. E il suo palmarés ci dice che fu uno dei pochi a riuscirci. Come in quel campionato del mondo del 1973 che si correva sul circuito del Montjuic a Barcellona, quando Merckx grande favorito della gara, venne beffato da Gimondi in una volata a quattro in cui il fuoriclasse italiano mise in fila Martens, Ocana e lo stesso Merckx. Perché Gimondi non era l’eterno secondo come ad esempio Poulidor sempre surclassato da Anquetil.

Era nato anche lui per vincere fin da subito come sorprese tutti, non ancora ventitreenne, nel suo primo trionfale Tour del 1965. L’ultima sua grande vittoria fu il Giro del 1976, quello in cui Merckx non andò oltre all’ottavo posto. Gimondi, ancora prima di Merckx e subito dopo Anquetil, è entrato nell’esclusivo club dei sette grandi del ciclismo che hanno saputo vincere Giro, Tour e Vuelta, in cui hanno messo piede anche Hinault, Indurain, Pantani, Nibali e Froome.

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