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Addio a Giacomo Becattini, il “padre” dei distretti industriali

Ieri, sabato 21 gennaio 2017, è scomparso Giacomo Becattini, uno dei grandi economisti italiani ed una persona semplicemente meravigliosa. Gli devo molto. Da Lui ho appreso le logiche e le “anime” delle piccole imprese organizzate in distretti. Fu Augusto Graziani a regalarmi l’occasione della sua conoscenza. Nella Ricerche e Studi (R&S) di Mediobanca, della quale ero responsabile, i lavori erano (e sono) sottoposti alla supervisione di un Comitato scientifico composto di membri che si cooptavano tra loro. C’era da sostituirne uno e Augusto Graziani propose Giacomo; tutti approvarono. Era il 25 febbraio 1991: i distretti entravano in Mediobanca!

Per me fu una grande gioia perché proprio in quel periodo Enrico Cuccia mi chiedeva pressantemente di esaminare (e capire) il ruolo delle piccole imprese nello sviluppo dell’industria italiana. Conobbi Giacomo a Firenze, in Università, dove ventisei anni fa, gli feci visita per illustrare l’attività della R&S nella quale era invitato ad entrare: ci capimmo subito condividendo idee per il futuro e umiltà di lavoro. Poco dopo Lui e Gabi Dei Ottati mi coinvolsero in alcuni seminari e iniziai a collaborare con il “Gruppo di Firenze”, una collaborazione e amicizia che dura ancora oggi con immutato entusiasmo.

Nel 2000 Giacomo mi coinvolse nel corso di Economia industriale che aveva istituito con l’obiettivo di spiegare una dinamica dello sviluppo italiano diversa da quella (distorta) raccontata dagli “economisti standard”, in particolare mettendo in evidenza le dinamiche delle grandi imprese comparate a quelle dei distretti. In tale contesto scientifico sviluppai gli studi sulle medie imprese e il Quarto capitalismo.

Inizialmente Giacomo diffidava delle medie imprese, vedendole come l’anteprima del gigantismo. Poi però fu chiaro che il loro ruolo e il loro radicamento locale contribuivano a trasformare i distretti industriali rendendoli più forti e competitivi. Gli rimase però una preoccupazione; quella di tenerle nel suo “capitalismo dal volto umano”, il solo modo per contribuire al benessere delle persone. Mi ha lasciato in dono una raccomandazione; alcune righe molto belle che riproduco qui di seguito.

“Si fa un gran discutere, oggi in Italia, sul capitalismo delle imprese medie, molte delle quali hanno capitalizzato l’esperienza culturale dei distretti industriali, in cui molte di esse sono nate e cresciute. Il fatto che esse si trovino giusto nell’area del passaggio dall’impresa progetto [di vita] all’impresa nucleolo [di capitale finanziario], le mette in condizione, se decifrano correttamente la loro posizione, di godere dei vantaggi di ambo le forme aziendali.

Il salto qualitativo, verso il gigantismo di successo o verso lo sfascio, avrà luogo quando il controllo passerà dalla famiglia del fondatore a un manager prezzolato. A quel punto tutto cambia: i rapporti fra i soggetti dell’impresa si spersonalizzano e la finalità del rendimento finanziario dei capitali investiti da anonimi azionisti travolge, prima o poi, ogni tipo di rapporto umano, anche coi fornitori o le comunità che ospitano le fabbriche, per dar luogo a secche contrapposizioni d’interessi. Ma quando intervengono la concentrazione dei capitali e il dominio delle lobbies internazionali, finanziarie e politiche, il meccanismo competitivo s’inceppa, degenerando in un caos esposto a tutti gli esiti” (Giacomo Becattini, Aprile 2010). 

Sta a noi fare in modo che il Quarto capitalismo non porti al caos, ma ci conduca al “sommo bene”.

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