Un servizio pubblico primario pensato e ripensato più volte negli ultimi trent’anni, sottoposto addirittura ad un referendum popolare, incagliato nelle burocrazie locali. Cosa manca all’Italia perchè la gestione dell’acqua diventi veramente pubblica ed efficiente? I cittadini non aspettano altro, ma…Quando Matteo Renzi nel 2014 inserì il riordino del settore idrico nello “Sblocca Italia“ lanciò una sfida alta: investimenti, efficienza, qualità, gestione manageriale. Tutto, purtroppo, smentito dall’ultima ricerca curata dal laboratorio Spl di Ref Ricerche e da qualche giudizio degli esperti. Centinaia di aziende continuano, intanto, a gestire il servizio in contrasto con la legge.
Nonostante i termini fissati dallo “Sblocca Italia” per la delimitazione degli Ambiti territoriali ottimali (Ato) e la definizione degli Enti di governo (Ega), il sistema idrico italiano non è all’altezza dei bisogni. Una volta tanto non è necessario nemmeno guardare agli altri Paesi europei. I problemi li abbiamo in casa, come ha spiegato di recente Massimo Gargano, direttore generale Anbi, l’Associazione dei consorzi di bonifica e di irrigazione. Un caso esemplare: la Puglia. La situazione pugliese, colpita da invasi a secco nonostante le gelate di questi giorni è tra le più sconcertanti nel panorama nazionale. 4 grandi opere idrauliche costate più di 66 milioni di euro sono terribilmente incompiute. E di riprendere i lavori, tutelare economia e necessità della popolazione per ora non se ne parla.
Le Regioni hanno creato gli Ato, ma spesso sono rimasti sulla carta. Ad Abruzzo, Campania, Molise, Calabria il primato delle inadempienze. La Calabria è marchiata come vittima di uno stallo politico per una mancanza di visione unitaria sull’organizzazione del territorio e sulla forma di gestione della servizio integrato. Visione opposta alla sfida dello “Sblocca Italia”, concepito per un approccio industriale del servizio. E i manager? Sono quattro gli Enti gestori non operativi: uno in Abruzzo, due in Sicilia, uno a testa in Calabria e Molise. In queste due Regioni la ricerca ha centrato una trasversalità tra Regione e Comuni con molti sindaci che non hanno nemmeno aderito all’Ambito ottimale. La sintesi triste di questo quadro è l’eterogeneità. Da Nord a Sud. A Roma come a Palermo, o a Bari.
Dei 15 gestori che entro giugno 2015 dovevano mettere il servizio nelle mani di una sola azienda, 10 sono inadempienti: Valle d’Aosta, Campania, Molise, Calabria e quella Sicilia che ogni estate soffre più di tutti disservizi e mancanza d’acqua nelle case. Non c’è il gestore previsto dalla legge e allora chi cura la distribuzione e le bollette? A chi vanno i soldi degli utenti? I ricercatori confermano che al 31 dicembre 2017, 360 gestioni sono cessate definitivamente e l’anno prima 500.
Nei fatti ci sono aziende che gestiscono l’acqua diversamente da ciò che prevede la normativa. E sono 111 in Lombardia, 108 nel Lazio e via decrescendo. I cittadini soffrono però di carenze di fornitura, poca manutenzione, impianti da ristrutturare. Una via d’uscita e di rilancio del servzio può essere l’aggregazione tra più gestori. I ricercatori Spl la indicano come una soluzione possibile, ma la burocrazia e i multiformi poteri locali devono compiere un salto di qualità. Non piccolo, perchè i servizi pubblici qualificano il Paese e la sua classe dirigente.