Dopo molti anni di paralisi normativa, il percorso verso il completamento del sistema di regolazione dei servizi di pubblica utilità è finalmente ripartito. Nel volgere di pochi mesi, ora sotto la pressione dei vincoli europei, ora sotto la spinta della campagna referendaria, il legislatore ha istituito prima l’Agenzia per la regolazione dei servizi postali e poi l’Agenzia per la vigilanza sulle risorse idriche.
Segna così un significativo passo in avanti il cammino a suo tempo avviato con la l. n. 481/1995 e con la nascita dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg) e poi bruscamente interrotto subito dopo l’istituzione nel 1997 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom). Con questi due provvedimenti il Governo, da un lato, ha rinunciato all’idea di conferire le funzioni di regolazione ad autorità già esistenti, come invece era stato proposto dall’Esecutivo nella precedente legislatura (l’idea era di assegnare la regolazione dell’acqua all’Aeeg e quella delle poste all’Agcom). Dall’altro, nell’istituire i nuovi organismi settoriali, il Governo ha privilegiato, nel nome, e in parte nella sostanza, il modello dell’agenzia amministrativa a quello dell’autorità indipendente. In realtà, entrambi i modelli sono una semplice sintesi verbale di un pluralità di istituti giuridici, non esistendo una disciplina generale, se non a carattere residuale. Le autorità indipendenti differiscono l’una dall’altra, così come le agenzie amministrative, dando luogo a combinazioni e gradi variabili di autonomia di giudizio e di azione. A questo destino, come meglio si vedrà tra poco, non sfuggono nemmeno le due agenzie di regolazione appena istituite.
Le ragioni che probabilmente hanno condizionato la scelta legislativa sono molteplici. Innanzitutto, bisogna considerare che anche nel diritto le mode terminologiche hanno la loro importanza. Negli anni novanta dello scorso secolo, il legislatore aveva cominciato a chiamare “autorità” ogni nuovo organismo pubblico che veniva istituito, anche se operante in posizione strumentale al Governo e preposto all’esercizio di semplici funzioni tecnico-amministrative. Oggi, quel termine è diventato desueto, perché considerato sinonimo di una sconfitta della politica. Istituendo mere “agenzie”, il decisore politico vuole segnalare anche a livello terminologico che questi organismi rimangono, almeno in alcuni casi, sotto il controllo del Governo. Sul piano sostanziale, questo controllo può assumere modalità diverse: ora aperte e trasparenti, ora nascoste e indirette sotto forma di condizionamento sugli organi e sul loro funzionamento. Ciò serve anche a combattere il processo di frammentazione dello Stato e a tenere sotto controllo i conti pubblici e i comportamenti amministrativi.
La scelta in favore dell’agenzia dipende anche da valutazioni di disegno istituzionale. Secondo alcuni studiosi (basti ricordare per tutti il compianto Fabio Gobbo), bisogna distinguere tra autorità di garanzia del mercato (come quella ‘antitrust’) e agenzie di regolazione settoriale. Pe queste ultime, si giustifica un tasso minore di indipendenza, in ragione della natura degli interessi curati (che attengono alla soddisfazione anche di interessi collettivi e sociali, e non solo di mercato), della rilevanza delle politiche industriali, economiche e sociali, dell’esigenza di assicurare quindi il “gioco di squadra” tra autorità politiche e organismi tecnici, tanto più quando, come nel settore dell’acqua, si pone un problema di governo ‘multi-livello’.
Va, infine, considerato il contesto di mercato. La necessità di istituire autorità indipendenti è maggiormente avvertita dove i processi di privatizzazione, di liberalizzazione e di integrazione del mercato europeo sono più avanzati. Si può quindi giustificare una soluzione più ‘debole’ nei settori dell’acqua e delle poste, dove invece i processi di privatizzazione sono minori, la dinamica concorrenziale più fiacca e la redditività più incerta.
Per capire meglio il nuovo disegno regolatorio bisogna, però, analizzare separatamente la ‘testa’, il ‘corpo’, e gli ‘arti’ dei due organismi ora istituiti. Per quel che riguarda la ‘testa’, le due Agenzie, per taluni versi, assomigliano a un’autorità indipendente. Ciò è vero innanzi tutto per la natura degli interessi curati – che coincidono con quelli della collettività alla fruizione di servizi di qualità, al funzionamento efficiente del mercato e alla tutela dell’ambiente – e non con quelli dello Stato-apparato o di un determinato indirizzo politico. L’indipendenza è poi esplicitamente proclamata nell’identificare il modus operandi delle due Agenzie, anche se in modo parziale e opposto nei due casi. Nel caso dell’acqua, si afferma che “l’Agenzia è soggetto giuridicamente distinto e funzionalmente indipendente dal Governo”, mentre, nel caso delle poste, il concetto è ribaltato e si afferma l’indipendenza dai soli operatori.
Quanto allo status dei membri del collegio (composto da tre persone), in entrambi i casi sono prescritti requisiti di elevata competenza e professionalità e viene introdotta una disciplina delle incompatibilità durante e dopo il mandato (anche se meno severa di quella esistente per altre autorità). Nel caso dell’acqua, poi, è prevista la procedura bipartisan di designazione, basata sul necessario consenso delle competenti commissioni parlamentari a maggioranza di due terzi. Viene così estesa la procedura già oggi applicata con successo all’Aeeg. Diversa la soluzione adottata nel settore postale, dove il parere parlamentare è espresso a maggioranza semplice. L’indipendenza, peraltro, in entrambi casi, è seriamente minacciata dalla breve durata del mandato (tre anni) e dalla previsione di un suo rinnovo (per una sola volta). Il rischio è che il meccanismo sia utilizzato da maggioranza e opposizione per mantenere l’allineamento originario ed eventualmente per modificare gli equilibri interni in caso di mutamento delle legislature e dei rapporti politici. Qualche dubbio, per la genericità dei presupposti e il tipo di procedura, solleva anche la previsione di scioglimento anticipato del collegio e di nomina di un commissario.
La struttura organizzativa e dunque il ‘corpo’ dei due nuovi organismi, invece, sono quelli propri di un’agenzia amministrativa. Nel caso delle poste, vi è addirittura un esplicito rinvio all’applicazione in via residuale delle norme generali dettate in materia di agenzie governative dal d.lgs. n. 300/1999. A prescindere da ciò, vi sono almeno tre elementi che consentono di ricondurre le strutture in questione al modello dell’agenzia. Il primo è il rinvio ad appositi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri per l’approvazione dello Statuto e del regolamento di organizzazione e funzionamento delle Agenzie. È dunque entro un quadro di vincoli esterni fissati dall’Esecutivo che potrà esercitarsi l’autonomia, organizzativa, contabile e finanziaria riconosciuta ai nuovi organismi. Il secondo elemento è la figura del Direttore generale. Questo è nominato dal Governo e si pone come il soggetto forte all’interno dell’Agenzia, per la superiore durata del mandato (cinque anni) e per la titolarità di tutti i poteri che attengono all’organizzazione e al funzionamento dell’organismo. Il terzo elemento è il ruolo del Collegio dei revisori, i cui membri sono nominati dal Governo (il Presidente dal Ministero dell’economia e delle finanze).
Questa dipendenza della macchina dal Governo rischia di rallentare l’avvio delle nuove Agenzie e di condizionarne la concreta operatività. I costi di transazione possono poi esplodere se ministeri di settore e Ministero dell’economia e delle finanze non svilupperanno adeguate condotte cooperative. A ciò si aggiunga l’impossibilità per le Agenzie di procurarsi risorse personali proprie e ‘originarie’, selezionate attraverso appositi concorsi. L’esigua pianta organica di sessanta e quaranta persone rispettivamente per l’Agenzia postale e per quella idrica, infatti, potrà essere colmata soltanto tramite il trasferimento dei funzionari al servizio degli uffici governativi prima operanti in quei settori o mediante comandi. La valutazione è ancora diversa quando si passano a esaminare le funzioni e i poteri (gli ‘arti’) delle due Agenzie. A entrambe, infatti, sono affidati i compiti propri delle autorità di regolazione e di vigilanza del mercato, diversamente dalle agenzie governative, che, invece, svolgono normalmente attività tecnico-operative.
I due organismi in esame, in particolare, fissano i criteri tariffari e ne controllano la corretta applicazione, definiscono i livelli qualitativi del servizio, gestiscono i reclami degli utenti e impongono il pagamento di indennizzi automatici, controllano la corretta erogazione del servizio, anche mediante confronti comparativi, promuovono la concorrenza e l’efficienza del mercato. Per la prima volta, dunque, anche nei settori delle poste e dell’acqua, si superano i limiti di una regolazione meramente contrattuale, avente efficacia nei soli rapporti bilaterali tra amministrazioni pubbliche e gestori. Regole e standard adottati dalle Agenzie, infatti, potranno direttamente conformare anche i rapporti tra gestori e utenti, come già previsto dalla l. n. 481/1995. In conclusione, può dirsi che l’istituzione delle Agenzie per l’acqua e per le poste rappresenta un significativo passo in avanti nella regolazione dei due settori, a vantaggio dell’efficienza del mercato e della tutela degli utenti. In termini istituzionali, però, il risultato è uno strano ibrido tra la testa e gli arti di un’autorità indipendente di regolazione (più forte nel caso dell’acqua e meno in quello delle poste) e il corpo di un’agenzia governativa. Il rischio, dunque, è che il corpo non risponda alla testa e che questo renda difficile muovere gli arti nella direzione giusta.