L’anello debole restano le infrastrutture. La carenza di acqua al Sud spaventa per la sua drammatica attualità. Rimanda ad epoche e scelte che Draghi vuole cancellare sfruttando le migliori opportunità dei fondi europei. Che c’è di nuovo? Che da qualche giorno a dar man forte al premier c’è una ricerca di Svimez e Utilitalia che mette a nudo problemi ed opportunità. Due aspetti che la buona politica può cogliere all’atto del rilancio del sistema Paese. Un Paese resiliente e green.
La domanda: quale nuovo modello socio economico sostenibile potrà davvero affermarsi se in metà Paese l’acqua per il 47% si perde in condotte fatiscenti? Se in alcuni capoluoghi siciliani e campani si raggiungono picchi del 60% di perdite? Un bene primario ma prezioso: ha senso? Governare richiede realismo. Quella cosa che, purtroppo, nell’idrico come in altri comparti per venti anni è mancata. Una stordita propaganda che voleva tutto pubblico ha, infatti, massacrato quegli investimenti graduali e costanti che le imprese, viceversa, avrebbero dovuto fare.
La montagna di soldi stimata ora dal Ministro per il Sud Mara Carfagna per intervenire al Sud supera i 2,5 miliardi di euro. “Con il mantra illusorio dell’acqua pubblica è stata disapplicata la normativa nazionale, non sono stati fatti crescere i gestori industriali e si sono bloccati gli investimenti. Adesso bisogna accelerare per raccogliere la sfida della transizione ecologica e allineare le gestioni idriche del Mezzogiorno a quelle del Nord” spiega Luca Bianchi, Direttore SVIMEZ. Eppure il sistema industriale mediante il controllo dell’Arera, ha fatto passi avanti allorché é stato concepito il modello integrato energia-acqua-rifiuti con tariffe amministrate e costi documentati.
La Svimez dice che investendo nell’acqua al Sud, il Pil può salire di 1,1% e l’occupazione di 40mila addetti. Il nodo politico che Draghi, a ben vedere, dovrà sciogliere – a valle delle risorse del Piano di Ripresa e Resilienza – sarà di convincere i Cinquestelle, una parte di essi o Conte, a rinunciare ad un altro slogan identitario della prima ora.
Da capo del governo Conte non ha mai preso una posizione chiara. La ministra per il Sud si è, invece, già sbilanciata. Dobbiamo ridurre il gap infrastrutturale che divide il Sud dal Nord Italia. “Ma per raggiungere questo risultato saranno importanti anche le riforme contenute nel PNRR, che intervengono sulla governance“. È evidente, del resto, come le battaglie per l’acqua pubblica alla fine abbiano generato solo illusioni nelle famiglie. Eccole che, intervistate per il 21%, si dicono “per niente soddisfatte” del servizio idrico nel proprio Comune. Per Utilitalia è il fallimento delle gestioni nelle mani dei Comuni, propagandato per anni da infruttuosi sit-in trascurando le difficoltà dei Sindaci di fare spesa per investimenti.
Nelle Regioni dove la resistenza dei Comuni è stata maggiore nel cedere gli impianti a un gestore industriale, vi sono livelli più bassi d’investimenti e peggior qualità del servizio, dice il Report. Poi la sorpresa anche di tariffe più alte, proprio là dove le condizioni finanziarie e reddituali delle famiglie sono più precarie. Un pugno diretto a chi ha gridato all’abolizione della povertà. Ridurre il gap infrastrutturale del sistema idrico al Sud – ha detto la Presidente di Utilitalia, Michaela Castelli – tutela i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale. “Vogliamo recuperare rapidamente il ritardo accumulato rispetto all’implementazione del quadro normativo e regolatorio nazionale”. 25 anni fa fu avviata una riforma che deve essere completata per superare le gestioni in economia e scegliere finalmente i gestori per gli ambiti ottimali. Per non far soffrire gli utenti dei costi di adeguamento delle reti sono importanti i contributi pubblici. Va da sé che é una strada percorribile con il Recovery plan e la prospettiva green. Il governo ci sta lavorando. Il Ministro Carfagna ha fornito le prime cifre, speriamo non faccia passi falsi verso un Paese più equo e cancelli definitivamente slogan palesemente in contrasto con chi firma atti di governo.