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Acqua, accordo Intesa-Acea per una gestione sostenibile. Dalla banca 20 miliardi per investimenti

Acea e Intesa hanno presentato anche il primo numero dell’Osservatorio sul settore idrico secondo cui l’Italia è tra i Paesi europei dove è praticato il riutilizzo delle acque reflue, sebbene la diffusione sia ancora marginale

Acqua, accordo Intesa-Acea per una gestione sostenibile. Dalla banca 20 miliardi per investimenti

Intesa Sanpaolo e Acea hanno firmato oggi a Roma il primo accordo nazionale per la salvaguardia e la gestione sostenibile dell’acqua nei processi produttivi delle aziende anche in relazione alle misure del Pnrr che stanzia circa 4,4 miliardi di euro per tutelare la risorsa idrica.

In questo quadro, Intesa Sanpaolo metterà a disposizione 20 miliardi di euro per supportare le iniziative delle aziende e degli operatori della filiera idrica, nell’ambito del più ampio plafond creditizio di 410 miliardi di euro annunciati dall’amministratore delegato Carlo Messina per nuovi finanziamenti a sostegno delle iniziative del Pnrr.

L’accordo è stato presentato oggi a Roma alla presenza di Fabrizio Palermo, amministratore delegato Acea, Stefano Barrese, responsabile divisione Banca dei Territori Intesa Sanpaolo e Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking Intesa Sanpaolo. 

I dettagli dell’accordo Intesa-Acea 

Grazie all’accordo, Intesa Sanpaolo e Acea opereranno per offrire servizi e prodotti dedicati a supporto degli investimenti e accesso a servizi di advisory alle aziende interessate ad interventi infrastrutturali. Attraverso il Programma Sviluppo Filiere di Intesa Sanpaolo verrà offerto supporto ai progetti in chiave di gestione sostenibile dell’intera filiera idrica, mentre grazie alla piattaforma gratuita Incent Now verrà facilitato l’accesso delle aziende ai bandi europei e nazionali, in particolari quelli legati al Pnrr. Previsti inoltre una collaborazione nell’ambito della ricerca e della formazione volta anche a sostenere lo sviluppo di figure professionali adeguate e l’adozione di misure mirate a favorire il recupero dell’acqua tramite la promozione di “comunità idriche”.

“La collaborazione con Acea, oltre alla nostra disponibilità di credito da 20 miliardi per gli investimenti, stimola una nuova cultura della responsabilità – industriale, economica e personale di ciascuno – per un uso sostenibile ma soprattutto per il riuso delle risorse idriche, superando la logica della gestione emergenziale verso una prospettiva di riduzione degli sprechi e circolare”, commenta Stefano Barrese, responsabile Divisione Banca dei Territori Intesa Sanpaolo, che aggiunge: “È nostro comune obiettivo attivare tutti gli investimenti e le leve possibili per efficientare presto le infrastrutture idriche del Paese, incentivare processi produttivi in logica circolare e sostenibile, favorire le comunità idriche”. 

“L’accordo siglato oggi – ha dichiarato Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Acea – tra il primo operatore idrico e la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, darà una forte spinta strategica a tutto il nostro sistema produttivo con ricadute positive sulla crescita economica del Paese, considerato che le risorse idriche abilitano il 40 per cento del Pil nazionale”.

Solo il 4% delle acque reflue viene utilizzato

Insieme alla firma dell’accordo è stato presentato oggi anche il primo numero dell’Osservatorio sul settore idrico di Acea e Intesa Sanpaolo secondo cui l’Italia è tra i paesi europei dove è praticato il riutilizzo delle acque reflue, sebbene la diffusione sia ancora marginale: solo il 4% delle acque reflue trattate viene infatti riutilizzato riutilizzato (Nell’Ue, solo il 2,4% delle acque reflue urbane trattate è soggetto a riuso). 

L’utilizzo agricolo indiretto, ovvero quello che si avvale di preesistenti canali irrigui, risulta essere la pratica più diffusa. “L’attenzione delle imprese a un uso efficace ed efficiente della risorsa idrica è ancora limitata”, spiega lo studio, sottolineando che “i dati del Censimento permanente indicano che tecniche di riutilizzo della risorsa risultano diffuse solo al 5,4% delle imprese”. 

A livello territoriale particolarmente virtuose risultano le imprese del Sud, che da più tempo si trovano in una situazione di scarsità della risorsa (in particolare in Puglia, Sicilia e Sardegna) e si sono quindi attrezzate con tecniche di riciclo. 

“L’implementazione del riutilizzo su larga scala può rispondere in maniera considerevole alla domanda idrica riducendo il prelievo di risorse idriche naturali superficiali e sotterranee e migliorando le situazioni di stress idrico”, evidenzia l’osservatorio.

In questo quadro, secondo il Joint Research Center, il riutilizzo dell’acqua potrebbe contribuire per Grecia, Malta e Romania a circa il 10% della domanda di irrigazione; per Spagna e Portogallo a circa il 20%; per Italia e Francia a circa il 45%, a fronte di investimenti per adeguare gli impianti di depurazione e realizzare nuove opere. 

Dal report emerge inoltre che “a livello europeo, le ragioni per cui buona parte dei reflui non viene valorizzata sono legate alla complessità del quadro normativo e regolamentare, alla convenienza economica/tariffaria e all’attuale dotazione impiantistica”. In questo contesto, spicca in positivo l’Italia che è uno dei pochi paesi europei ad aver adottato una normativa specifica sul riutilizzo fin dal 2003, mentre l’Ue si è dotata di un regolamento sul tema solo nel 2020, poi rivisto nel 2024.

Per l’Osservatorio, allo scopo di superare in via definitiva le barriere che ostacolano la diffusione del riuso, “da un lato sono necessari interventi normativi per armonizzare la disciplina tra i diversi usi e semplificare i procedimenti autorizzativi, dall’altro è indispensabile favorire gli investimenti per l’adeguamento infrastrutturale, mediante introduzione di agevolazioni tariffarie, incentivi e meccanismi di obbligatorietà al riuso, lavorando anche su una nuova cultura dell’acqua, avviando processi di stakeholder engagement e promuovendo campagne di comunicazione e formazione su rischi (pochi o nulli) e benefici (molti) derivanti dal riutilizzo”.

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