L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena si butta alle spalle le difficoltà incontrate nel 2020 con l’emergenza sanitaria: il Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena nel tirare le somme dell’anno appena trascorso ha reso noto che il 2021 ha fatto registrare un incremento della produzione e delle vendite di oltre il 17%, che hanno attestato i volumi su quelli pre-pandemia. In particolare, il centro di imbottigliamento consortile ha fatto registrare un aumento del 30% delle quantità imbottigliate.
“Si sono superate le 110 mila confezioni certificate – afferma Enrico Corsini, presidente del Consorzio – ma ciò che più importa per un aceto che deve sottostare a tale eccezionale periodo di invecchiamento sono le giacenze di prodotto nelle tipiche ‘batterie’ di botti, che servono per sostenere la produzione delle annate future: la filiera produttiva oggi consta di 250 produttori, che detengono circa 3milioni di litri di prodotto in invecchiamento nelle proprie acetaie, con un deciso incremento rispetto al decennio precedente, che fa ben sperare in un futuro di successo per quello che è chiamato l’ “oro nero” di Modena.”
Un gioiello enogastronomico con oltre 12 o 25 anni di invecchiamento in botti secondo la antichissima tradizione, che viene confezionato per legge in una bottiglia dalla forma esclusiva, disegnata da Giugiaro oltre venti anni fa. La produzione limitata, i grandi investimenti necessari per installare e gestire una acetaia, la lunghezza dell’invecchiamento ne fanno un prodotto esclusivo, che viene venduto nei negozi per gourmet e utilizzato nei ristoranti più prestigiosi, con prezzi che spesso superano i cento euro a bottiglietta, ovvero i mille euro al litro.
Risalgono all’XI secolo le prime notizie di questo particolarissimo aceto a Modena che diventerà nel tempo sinonimo di cultura e di storia di un territorio unico per caratteristiche pedoclimatiche e per saperi e talenti umani. Nel 1046, Enrico III, imperatore del Sacro Romano Impero, in occasione del suo passaggio nel territorio della Pianura Padana, viene infatti omaggiato con un “aceto perfettissimo” da Bonifacio, marchese di Toscana e padre di Matilde di Canossa: un episodio documentato dall’abate e storico Donizone, biografo della contessa. Due secoli dopo l’arte della produzione dell’aceto viene addirittura coltivata presso la corte Estense a Modena. Ma è soltanto nel 1747, nei registri di cantina dei duchi d’Este, che per la prima volta appare l’aggettivo balsamico: si parla di mezzo balsamico e di balsamico fine, che corrispondono agli attuali Aceto Balsamico di Modena e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP.
Pochi decenni dopo – siamo nel 1800 – l’Aceto Balsamico di Modena comincia a essere apprezzato e conosciuto anche a livello internazionale: è, infatti, protagonista nelle più importanti manifestazioni espositive dell’epoca, da Firenze a Bruxelles. Sempre nel XIX secolo si affermano le prime dinastie dei produttori, alcuni dei quali, ancora oggi, figurano tra gli associati del Consorzio di Tutela. È in questa fase che vengono codificati i processi produttivi.
Dal 2009, data in cui ha ottenuto il riconoscimento ministeriale, Il Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è l’unico gruppo che può vantare il nome “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena” nella propria ragione sociale e svolge per legge le azioni di tutela, vigilanza, promozione e divulgazione sul prodotto. Azione quanto mai indispensabile dal momento che la parola ‘balsamico’ che dovrebbe essere prerogativa esclusiva dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, ha riscosso tanto successo che oggi è di fatto imitata ed evocata in tutte le salse, in Italia come all’estero. L’ultima battaglia è la vertenza in corso con la Slovenia, che ha messo in commercio un “aceto balsamico” e sta tentando addirittura di legalizzare questa denominazione per decreto rischiando di danneggiare il mercato dell’aceto balsamico tradizionale di Modena italiano che vale 1,2 miliardi di euro, con un export che supera il 92%. Se il caso della Slovenia è il più clamoroso il Consorzio è impegnato su tanti altri fronti per difendere questa eccellenza storica del Made in Italy dai tanti ‘condimenti balsamici’ che sono ingannevoli per il consumatore.