Non era un personaggio facile Aris Accornero: severo, spesso tagliente, sempre rigoroso.
Ma Accornero, scomparso nei giorni scorsi a 87 anni, proprio in virtù di queste doti umane e scientifiche – non sempre apprezzate nel nostro paese – ha accumulato un capitale di stima e di rispetto che emerge dai tanti commenti postumi, come anche dagli attestati affettuosi dei suoi tanti allievi colleghi ed estimatori.
Accornero è stato in primo luogo un osservatore e un profondo ricercatore del fenomeno-lavoro. L’inchiesta sociale, l’indagine sul campo relativa al lavoro e alle sue trasformazioni, sono state per tanti anni il campo privilegiato del suo impegno di studioso: un impegno che era strettamente intrecciato a quello civile e politico. Probabilmente Accornero è stato il primo a far diventare adulte le ricerche sociali. Le ha rese un esercizio compiuto di cura delle informazioni e dei dati, a partire da quelli quantitativi, quanto più possibile ‘solidi’ ed affidabili, nonché base indispensabile per approdare in seguito a cornici più sistematiche.
Tanti ricordano in questi giorni uno dei suoi tratti più emblematici, che consiste nell’essere diventato professore universitario e ordinario nel 1980, senza essere neppure laureato. Per chi non lo abbia conosciuto, va ricordato come questo fosse uno dei suoi grandi rammarichi, dovuto alla carenza di una importante esperienza scolastica (Accornero, figlio di un’altra epoca, aveva fatto l’avviamento professionale). Un vezzo, qualche volta esibito con timida civetteria, alla fine un po’ smorzato dalla laurea honoris causa concessagli dall’Università di Ferrara.
Un limite imputabile alla sua storia personale di operaio specializzato presso la Riv, dove aveva cominciato a lavorare a 15 anni: ma che si era tradotto in una grande molla per studiare e migliorarsi, fino ad arrivare a vette sorprendenti di perfezionismo conoscitivo. Personalmente sui temi del lavoro (e non solo) non ho incontrato nessuno dotato di cultura altrettanto vasta e penetrante, peraltro sempre usata con garbo e mai esibita.
Inoltre la sua formazione operaia si trova alla radice del suo sguardo attento e dall’interno, concreto e mai ideologico, rivolto alle vicende del lavoro e alle opinioni e ai problemi concreti dei lavoratori in carne ed ossa. Non un risvolto puramente antropologico, ma uno sguardo complesso sul come si fa per davvero la ricerca sociologica: partendo dalla ricognizione e misurazione dei fenomeni e solo in un secondo momento arrivando, per prove ed errori, a vari gradi di generalizzazioni, nel suo caso quasi sempre acute.
Quella operaia è stata dunque una scuola, che ha costituito per lui l’anticamera e il solco di altre due scuole, sempre strettamente connesse nella sua ispirazione, quella del partito (con la maiuscola il Pci) e del sindacato, ovviamente la Cgil.
Infatti queste due organizzazioni di massa, all’epoca tra loro piene di sovrapposizioni, costituirono la sua intensa palestra, dopo il licenziamento subìto a metà degli anni cinquanta per discriminazione politica. Una palestra indispensabile per diventare prima un giornalista apprezzato (all’Unità), e poi uno studioso, tra i più eminenti, del fenomeno del lavoro: a partire naturalmente dalla focalizzazione sugli operai, di cui tanto si era occupato, fino a parlare di ‘centralità operaia’, e di cui lamentava che stessero sparendo dal lessico pubblico e politico.
Così prima di approdare al mondo accademico Accornero, era già divenuto ricercatore e coordinatore di ricerche all’interno delle organizzazioni del Movimento operaio. Prima da direttore di Rassegna Sindacale, e successivamente da creatore di “Quaderni di rassegna Sindacale”, la rivista che ha sdoganato nel mondo Cgil la ricerca sociologica e che ha accompagnato la formazione di una intera generazione di nuovi quadri: gli interpreti del nuovo corso post 69.
Successivamente da Direttore della Sezione di Ricerca sociale del Cespe (il prestigioso Centro studi di politica economica del Pci, voluto da Amendola), postazione dalla quale costruì tante importanti ricerche, volte a restituire una immagine più precisa e ravvicinata dei lavoratori italiani. Ricerche scrupolose fondate sulla accurata analisi ed elaborazione di migliaia di questionari, in un’epoca nella quale il supporto delle tecnologie era più limitato rispetto a quella successiva dell’economia dell’informazione. Ricerche scomode nelle quali i lavoratori apparivano fuori dall’oleografia prevalente, con le loro richieste ed aspettative serie e precise, ma quasi sempre non rivoluzionarie: come si poteva ad esempio capire da quella dedicata (dentro un più vasto contenitore) ai “Tre tipi di operai alla Fiat “(1980), e che aiutava a spiegare prima del tempo le ragioni sociali dell’insuccesso della lotta dei 35 giorni. Appunto per questo ricerche scomode, e non sempre pienamente capite ed utilizzate, che parlavano il linguaggio del cambiamento gradualista e del riformismo degli avanzamenti piccoli e quotidiani: dimensioni che non sempre combaciavano con l’ufficialità degli intenti di quelle grandi organizzazioni (che pure le promuovevano) .
Anche gli anni accademici furono ricchi di studi, ricerche e pubblicazioni, a conferma di un percorso eclettico, ma comunque ininterrotto. Ricordiamo tra le tante “ La parabola del sindacato” (1992) , che spiegava le ragioni di fondo della china discendente imboccata dalle tre Confederazioni dopo gli anni settanta.
O anche l’importante “Era il secolo del Lavoro” (1997), in cui, accanto a qualche rimpianto per il novecentesco Lavoro maiuscolo, emergeva la potenza non arrestabile dei fenomeni che stavano prendendo la scena: lavori minuscoli, qualche volta di qualità, ma spesso instabili e sotto-protetti.
Dal 1990 al 1996 aveva fatto parte della Commissione di Garanzia per lo sciopero nei servizi essenziali, appena istituita. E non per caso. Infatti Accornero aveva da qualche anno mostrato con evidenza, attraverso ragionamenti serrati e la fortunata formula della ‘terziarizzazione del conflitto’, la nuova morfologia degli scioperi, sempre più addensati nel terziario dei servizi essenziali, e dotati del potere crescente di colpire i cittadini-utenti.
Per tanti di noi Accornero è stato un maestro, di studi, ma anche di serietà di applicazione: quando voleva andare a fondo di un problema lavorava senza sosta e senza risparmiarsi, ed era un esempio importante, anche se non semplice da imitare. Per capirlo più a fondo rinviamo ai suoi tanti scritti e volumi, variamente utili, che qui non citiamo. Ma piace ricordarlo con le parole di Cesare Damiano, un ex- ministro del lavoro: “Accornero è un maestro e un faro per tutti coloro che si dedicano alla ricerca sul lavoro”. E’ la conferma che Accornero può sicuramente vantarsi di essere tra gli ultimi ad avere messo in comunicazione più mondi, quello scientifico e quello politico-sindacale, arricchendoli e ricavandone un apprezzamento trasversale.
°°° L’autore è ordinario di Sociologia economica all’Università La Sapienza di Roma