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Accordo Ue-Mercosur, ecco che cosa succede dopo la rivolta dei trattori

Alexander Schimmeck - Unsplash

Due pesi e due misure. Così stanno reagendo in Sudamerica a quello che sta accadendo in Europa, dove le proteste degli agricoltori hanno portato la Commissione Ue, che già a gennaio aveva modificato gli accordi della PAC (Politica Agricola Comune) 2023-2027 dispensando i produttori dal rispetto di alcune norme per accedere ai 300 miliardi di euro complessivi di sussidi, a fare un ulteriore passo indietro rinunciando all’obiettivo di ridurre al 30% le emissioni di CO2 legate all’agricoltura entro il 2024, e a quello di restringere l’uso dei pesticidi entro il 2030 (su pressione soprattutto della Francia, che già per conto suo aveva deciso di rinviare ad un altro momento).

Che cosa c’entrano queste misure, che sembrerebbero soltanto una “deroga temporanea”, come ha tenuto a precisare il commissario all’Agricoltura europeo Janusz Wojciechowski, con l’America Latina? Molto, perché le politiche agricole e soprattutto ambientali sono al centro dell’accordo Ue-Mercosur, pronto da anni ma che stenta a decollare per reciproche perplessità, non ultime quelle del presidente francese Emmanuel Macron che ha posto il veto ad un’intesa che sembrava in dirittura d’arrivo e che invece, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi nel Vecchio Continente, pare sempre più lontana. 

Mercosur: i motivi dell’impasse 

Le motivazioni ufficiali dell’impasse sono, da parte nostra, che i Paesi del Sudamerica e in particolare il Brasile non sono in grado di rispettare i vincoli green e di tutelare dovutamente la foresta amazzonica, che invece viene disboscata a ritmi spaventosi (un po’ meno da quando è tornato Lula, ma non manca moltissimo al punto di non ritorno) per fare spazio agli allevamenti bovini e alle coltivazioni di soia, materia prima sempre più richiesta e di cui il Brasile è oggi di gran lunga il primo esportatore mondiale, con 100 milioni di tonnellate vendute all’estero nel 2023, soprattutto in direzione Cina ma anche della stessa Europa, che ne produce meno del 10% eppure ne ha bisogno. Così come l’Unione ha bisogno di frutta, zucchero, caffè, cellulosa, tabacco, solo alcune delle commodities di cui il Sudamerica e soprattutto il Brasile è il primo produttore ed esportatore a livello globale. 

Agricoltori: dalla Ue due pesi e due misure?

Fanno però notare dall’altra parte dell’Oceano, e con qualche ragione benché le posizioni dello stesso Lula siano ambigue e il vertice sull’Amazzonia di Belem dello scorso agosto ha prodotto di fatto un accordo deludentissimo sulle politiche climatiche, che le regole imposte ai produttori agricoli latinoamericani sono state appena abbuonate dalla Commissione europea agli agricoltori europei, che sono adesso dispensati dal divieto di espandere le proprie coltivazioni e dal conseguente obbligo di lasciare parte dei terreni allo stato naturale.

L’Europa sostiene che queste deroghe sono temporanee e dettate da motivi eccezionali come i fenomeni meteorologici estremi, la siccità, gli incendi, l’inflazione, l’aumento del costo dell’energia dovuto, anche, alla guerra in Ucraina. Tutto vero ma allora, sostengono dall’altra parte del mondo, andrebbero allentate anche le regole imposte a i colleghi dell’emisfero Sud, e dunque riscritto un accordo tra Ue e Mercosur che così sarebbe un po’ ipocrita e accusabile di greenwashing. Anche perché nel frattempo l’Unione europea ha già varato, unilateralmente, un proprio regolamento contro il disboscamento, che sarà pienamente imposto ai partner commerciali dal 30 dicembre 2024 e che prevede il divieto di importare carne bovina, cacao, caffè, olio di palma, soia, legno e tutti i derivati delle materie prime citate, se sono stati ricavati disboscando aree verdi e se non viene allegata una due diligence sull’origine dei prodotti. Fanno notare alcuni esperti in un intervento puntuale sulla Folha di Sao Paulo che prima ancora dell’accordo Ue-Mercosur esistono le regole dell’OMC, l’Organizzazione mondiale del Commercio, che stabiliscono che i prodotti di provenienza estera debbano ricevere, nel territorio del Paese importatore, un trattamento non meno favorevole di quello riservato ai prodotti locali.

Intervistato dal quotidiano finanziario brasiliano Valor Economico, il famoso agronomo Domingos Carvalho parla addirittura di “miracolo brasiliano” e di Europa “che ha paura della crescente competitività dell’agricoltura brasiliana”, che in effetti negli ultimi decenni ha registrato un’impennata, come già scritto su FIRSTonline. L’esperto ricorda che il Brasile sta diventando la fattoria del mondo utilizzando solo il 7,8% del proprio territorio, e che la produttività potrà continuare a crescere senza disboscare un centimetro dell’Amazzonia ma “sfruttando le aree improduttive e degradate dai pascoli, che grazie al clima favorevole e ai numerosissimi bacini idrici possono essere bonificate e valorizzate”. 

Carvalho si riferisce soprattutto al Cerrado, ma dimentica che si tratta di una estesa savana tropicale che in realtà custodisce la maggiore biodiversità del mondo, poiché conta oltre 6mila specie di alberi e 800 specie di uccelli, e che viene disboscata a ritmi ancora peggiori di quelli dell’Amazzonia: si è ridotta di 2.133 km quadrati nel primo quadrimestre 2023, quasi il doppio rispetto a gennaio-aprile del 2021. Dunque, chi ha ragione?

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