Condividi

Acciaio, Piombino ad alta tensione: tutte le manovre in corso

La sopravvivenza dell’impianto siderurgico toscano infiamma lo scontro sindacale, politico e industriale – Pochi soldi, scarsa liquidità,insufficiente capitale ma anche difficoltà politiche interne frenano il piano di rilancio degli algerini della Cevital – E ora scende in campo il Commissario Nardi che lancia l’amo ai siderurgici bresciani

Acciaio, Piombino ad alta tensione: tutte le manovre in corso

Da Populonia a Follonica e in tutta la val di Cornia la mobilitazione dei Sindaci e del Sindacato ha riproposto per l’ennesima volta il problema della sopravvivenza della siderurgia piombinese ormai limitata alla lavorazione a freddo della ex Magona e all’asfittica gestione delle Acciaierie da tre anni nelle mani della Cevital di Isach Rebrab.

L’imprenditore algerino paga certamente le difficoltà politiche casalinghe che lo vedono in contrasto con il locale Governo ma aggiunge negativamente i ritardi accumulati col piano di riassetto e di rilancio del sito industriale e del suo porto; piano che aveva spinto la liquidazione disposta dalla Legge Marzano ad affidargli la proprietà e la gestione del grande stabilimento che fu dello Stato, poi della famiglia Lucchini e infine dei russi della Severstal.

Cevital ha soltanto rimesso in funzione le tre linee di laminazione (vergella, lunghi e rotaie) comprando qua e là l’acciaio necessario ad alimentare gli impianti: in un primo tempo approvvigionandosi dai Riva, poi saltuariamente dai bresciani e, infine, sul mercato internazionale delle billette. L’alto forno a ciclo integrale promesso è di fatto rinviato sine die e quello elettrico, da complementare ad alternativo, è rimasto solo sulla carta. Tutto ciò ha costretto Piombino a lavorare a singhiozzo e a ridurre notevolmente il portafoglio-ordini delle rotaie che potevano essere il cuore strategico del business dal momento che lo stabilimento toscano resta con l’austriaca Voest Alpine l’unico produttore europeo.

Pochi soldi, scarsa liquidità, capitale insufficiente hanno obbligato Rebrab a non poter onorare gli impegni di investimento assunti e a dover cercare altre soluzioni come la ricerca di qualche socio o, almeno, di un fornitore di billette in grado di star “sul credere” per molti mesi. Da qui le sue giornate bresciane in cerca di partner o di contare sull’acciaio della Leali steel di Borgo Valsugana. E’ pur vero che nella città lombarda opera il suo studio legale di fiducia ma è altrettanto vero che da Brescia non è sorto nulla di buono per il futuro piombinese della Cevital. Anzi.

In questi giorni ha preso campo il Commissario della liquidazione Piero Nardi con un messaggio non molto criptico. Pur avendo venduto i cespiti della Caleotto di Lecco (Pasini-Gozzi) e di Servola (Arvedi) nonché in corso anche le trafilerie di Condove, ha ricordato alla stampa che nelle sue mani sono ancora saldamente tenute quote delle Acciaierie di Piombino per il 27,7% del capitale oltre ad una azione giuridicamente perseguibile qualora Cevital non sia in grado di onorare tutti gli impegni (nessuno escluso) presi a suo tempo.

Piero Nardi è stato uno dei potenti boiardi dell’acciaio di Stato. Protagonista della cessione ai Lucchini dell’Ilva di Piombino; poi manager e Ceo della Lucchini per tutto il periodo crepuscolare del Gruppo fino all’arrivo di Enrico Bondi che, cacciati tutti i dirigenti, di fatto venderà cespiti, centrali elettriche, fabbriche e pingui magazzini spianando la strada ai russi di Severstal. Ora Piero Nardi è il Commissario della liquidazione e, si dice in Toscana, in grado di non accontentarsi degli eventi ma di costruirne di migliori a suo piacimento.

Ecco perché l’amo del 27,7% è stato gettato nelle acque pescose dell’orizzonte piombinese. In primo luogo perchè gli impianti di laminazione (lunghi e vergella) sono altamente produttivi e garantiscono una altissima qualità al prodotto. Quello delle rotaie,poi, non ha bisogno di ulteriori migliorie sfornando rotaie di lunghezza competitiva a livello mondiale. Infine di alto forno a ciclo integrale non se ne parla più. L’impianto, quasi una pregiudiziale politica, di identità, che i piombinesi hanno sempre messo davanti ad ogni altra ragione o aspettativa, è ormai lasciato cadere a fronte di un futuro possibile forno elettrico. Ne guadagnerebbe l’ambiente senza più cokerie, carbone ed emissioni a sostegno di un futuro dell’immenso patrimonio territoriale che va dal centro di Piombino fino all’attuale centrale dell’Enel. Un autorevole politico a commento della mobilitazione pubblica dei giorni scorsi ha sottolineato più volte che il futuro dello stabilimento sta “ nella utilizzazione degli attuali impianti”.

Così Piero Nardi ha riaperto le porte ai vecchi amici bresciani che, lasciato alle spalle il tabù del ciclo integrale, potrebbero fare dello stabilimento un boccone ambito ed ambizioso e fornire l’acciaio necessario con le non sfruttate capacità produttive installate nei loro impianti. Al limite potrebbero governare anche insieme a Rebrab che rimane pur sempre un grosso consumatore di tondo per cemento armato in quel di Algeri.

A Brescia già circolano i nomi dei più sollecitati osservatori delle vicende piombinesi: si tratta di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e guida della Duferco in alleanza con Giuseppe Pasini della Feralpi. Altre voci aggiungono che sulle rotaie fanno corrono le ruote di Lovere dei Lucchini. Certo è che lo scenario promette “pièces” economiche ed imprenditoriali di grande interesse. Infatti i colossi dell’Alfa Acciai e dei Banzato, minacciati al cuore dalle produzioni piombinesi, non potranno accontentarsi di pagare il biglietto e godersi lo spettacolo stando in platea.

Commenta