“Se non sarà pagata Snam la produzione si fermerà”. Lo ha detto il presidente di Acciaierie d’Italia (ex Ilva), Franco Bernabè in audizione in commissione industria al Senato sul decreto legge 2 del 2023, il cosiddetto decreto Ilva (l’ennesimo), che senza mezze misure ha spiegato che l’ex Ilva ha degli arretrati nei confronti di Snam che vanno saldati. Da qui la conclusione estrema: altrimenti le” forniture si interromperanno” e l’attività di Taranto sarà “irrimediabilmente compromessa”.
Lunedì 30 gennaio, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato di aver predisposto l’erogazione della dotazione finanziaria pari a 680 milioni di euro per Invitalia affinché possa trasferire “senza indugi” la somma ad Acciaierie d’Italia, la società in mano ad ArcelorMittal nella quale lo Stato, tramite la sua controllata Invitalia, ha una partecipazione di minoranza pari al 38%. Ma la lista dei creditori di Acciaierie è piuttosto lunga.
Per quanto riguarda la posizione debitoria nei confronti di Snam, Bernabè ha aggiunto che si tratta di “un onere insostenibile che ha generato arretrati di pagamento nei confronti del fornitore Eni che ha deciso di rescindere il contratto di fornitura e della Snam che è intervenuta in ragione delle norme che prevedono la fornitura di gas di default”.
Bernabè: “Mai vissuto una situazione così complessa”
“La situazione di Acciaierie d’Italia è assolutamente più complessa di tutte quelle che io ho vissuto in precedenza – ha proseguito Bernabè –. Per una società che ha fatturato 3,5 miliardi un aumento dei costi di circa 1 miliardo è assolutamente insostenibile. E va dato atto all’amministratore delegato Lucia Morselli di aver condotto l’azienda in una situazione di grande drammaticità. Ho vissuto esperienze drammatiche con decine di migliaia di posti di lavoro a rischio, ma la situazione di Acciaierie d’Italia è assolutamente più complessa di tutte quelle che io ho vissuto in precedenza”. Il manager ha ricordato la ristrutturazione del comparto della chimica quando lui era l’amministratore delegato di Eni. “Quello fu un successo, ma noi avevamo un azionista forte che poteva finanziarsi sul mercato. Acciaierie d’Italia ha dovuto gestire tutto con il flusso di cassa”.
Il costo del gas salato per l’ex Ilva
Alla base di tutto c’è il caro energia. “Il mercato dell’acciaio — ha spiegato Bernabè — è stato segnato da due eventi straordinari, la pandemia e conflitto russo ucraino: questo ha causato un effetto choc: il prezzo del gas è aumentato di oltre 6 volte il livello medio fino a un picco di 350 euro a megawatt ad agosto 2022. A seguito degli aumenti di prezzo il costo dell’energia per l’azienda è passato da 200 milioni circa in un anno normale come il 2020 o il 2019 a un miliardo e 550 milioni in termini finanziari. Incrementi che sono stati compensati in parte dal meccanismo di tax credit che hanno portato l’effettivo onere a un miliardo e 100 milioni: si tratta con tutta evidenza di un onere insostenibile che ha generato arretrati di pagamento nei confronti di tanti fornitori, soprattutto dell’energia”.
La crisi finanziaria e gli effetti sull’indotto
Ma quali sono le sofferenze dell’indotto? Una pesante crisi finanziaria che il presidente di Acciaierie ha spiegato anche con l’uscita della società dal perimetro della multinazionale ArcelorMittal. “Quest’ultima — ha sottolineato — forniva di fatto il finanziamento del circolante” ed Adi “che dipendeva da ArcelorMittal per il finanziamento del circolante, si è trovata improvvisamente senza la possibilità di finanziarlo. Nel caso di AdI, che ha un ciclo di lavorazione di almeno sei mesi, c’è l’esigenza di un castelletto bancario di almeno 1,5 miliardi. La società non è bancabile, non ha accesso al credito, se non in misura limitatissima, e non ha un’azionista che la sostenga finanziariamente con l’uscita di ArcelorMittal perché lo Stato non può intervenire se non in condizioni molto particolari e strumenti di tipo legislativo per il sostegno finanziario della società. Ma non può certamente finanziare il circolante”. AdI, dunque, ha spiegato ancora Bernabè al Senato, “si è ritrovata senza la possibilità di accedere al credito bancario” e ha dovuto “gestire tutto il processo produttivo e commerciale per cassa, utilizzando la cassa generata dalla vendita per finanziare soprattutto l’acquisto di materia prima” che “va pagata all’atto del carico della nave. La cassa che genera l’azienda, quella immediatamente disponibile, deve essere destinata all’acquisto di materie prime senza le quali il ciclo produttivo si interrompe”.
La decarbonizzazione in 10 anni
Per quanto riguarda il piano di decarbonizzazione, il presidente è entrato più nel dettaglio: la prima fase del piano avrà un raggio temporale dal 2023 al 2025 e prevede un investimento di oltre un miliardo “destinato ad aumentare per effetto dell’inflazione” ha spiegato Bernabè. La seconda fase si svolgerà in un arco temporale fra il 2024 e il 2027 e prevede un investimento di 2,4 miliardi. La terza sarà realizzata fra il 2027 e il 2029 e prevede un investimento di 1,2 miliardi. La quarta fase sarà realizzata dal 2029 al 2032 e prevede un investimento di 1 miliardo.
“L’obiettivo finale – ha proseguito Bernabè – è arrivare all’alimentazione degli impianti con il solo idrogeno verde”. Il piano dovrà centrare quattro obiettivi: rispetto dell’ambiente, continuità occupazionale, sostenibilità economica e crescita delle quote di mercato. “Si tratta di un piano industriale complesso e ambizioso che richiede un lungo lavoro preparatorio, tutto questo richiede tempo e importanti risorse finanziarie” ha concluso Bernabè.