Il 20 ottobre del 1973 è una data da ricordare nella storia degli Stati Uniti: in pieno Watergate, lo scandalo che l’anno precedente travolse il presidente repubblicano Richard Nixon, esattamente 46 anni fa si consumò quello che è stato definito il “massacro del sabato sera”. Nessuno morì, sia ben chiaro, ma l’episodio provocò un’ecatombe ai vertici dell’apparato giudiziario statunitense. Cosa accadde di preciso? Pochi mesi prima, il 13 luglio, durante le indagini si venne a scoprire che nel famoso studio ovale della Casa Bianca vengono automaticamente registrate tutte le conversazioni: il coinvolgimento di Nixon poteva così essere velocemente provato dopo oltre un anno dalla scoperta di alcune intercettazioni illegali effettuate nel quartier generale del Comitato nazionale democratico, a opera di uomini legati al Partito Repubblicano.
Ma il presidente clamorosamente si rifiutò di consegnare i nastri agli inquirenti, usando il principio del privilegio dell’esecutivo e ordinò al procuratore speciale Archibald Cox, attraverso il Procuratore generale Elliot Lee Richardson, di lasciar cadere la sua citazione in giudizio. Fu proprio il rifiuto di Cox a portare al cosiddetto “massacro”: Nixon obbligò alle dimissioni il procuratore generale Richardson e il suo vice William Ruckelshaus, in cerca di qualcuno al Dipartimento di giustizia intenzionato a licenziare Cox. Questa ricerca finì con l’avvocato generale Robert Bork, che fece quanto gli era stato chiesto e licenziò il procuratore speciale Cox. Le asserzioni di malfunzionamento del governo indussero Nixon alla famosa frase, “non sono un imbroglione” (I’m not a crook), il 17 novembre di fronte a 400 editori dell’Associated Press riuniti al Walt Disney World Resort in Florida.
Ma i guai per il presidente Nixon non finirono lì: fu ovviamente costretto ad accettare l’insediamento di un nuovo procuratore speciale, Leon Jaworski, che continuò l’indagine, che arrivò alla svolta nell’anno successivo: il 24 luglio 1974 la corte affermò all’unanimità che la richiesta di Nixon di usare il privilegio dell’esecutivo sui nastri era inammissibile, e gli ordinarono di consegnarli a Jaworski. Il 30 luglio Nixon eseguì l’ordine e rilasciò i nastri incriminati. Subito dopo, la corte imputò al presidente altre due accuse, “abuso di potere” e “ostacolo al Congresso”. In particolare pubblicazione del nastro noto come “la pistola fumante” (smoking gun) portò con sé la prospettiva di un sicuro impeachment per il presidente, che infatti diede le dimissioni pochi giorni dopo, l’8 agosto.