Cinquant’anni or sono la notizia dell’attentato nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana a Milano, mi raggiunse pochi minuti dopo l’evento (erano le 16,37) mentre mi trovavo al ministero del Lavoro (allora sito in Via Flavia) per la trattativa del rinnovo contrattuale dei metalmeccanici. Allora ero componente della segreteria nazionale della Fiom. Dopo che la Fiat era stata costretta dal ministro Carlo Donat Cattin a ritirare una massiccia richiesta di cassa integrazione considerata dai sindacati una provocazione contro il rinnovo contrattuale, il negoziato era iniziato in sede sindacale, ma si era interrotto già al primo incontro.
Dopo settimane di lotta e di manifestazioni era intervenuta, in un clima di forte tensione sociale, la mediazione ministeriale che accompagnò il confronto fino alla sua conclusione, su di un testo proposto dal ministro (ovviamente attraverso contatti e negoziati paralleli con le parti). Donat Cattin riceveva separatamente le delegazioni convocate, come sempre accadeva (e accade) nelle trattative sindacali, in forma ristretta.
A seguire il negoziato c’erano, invece, parecchi dirigenti e lavoratori che ogni tanto venivano informati sull’andamento della discussione. Le delegazioni sindacali bivaccavano – per ore ed ore fino a notte fonda – in un grande salone al cui centro stava un tavolo enorme, intorno al quale si riunivano dei gruppi di partecipanti per ingannare l’attesa conversando, leggendo i giornali o quant’altro. Alcuni giocavano a carte.
In quel contesto esplose la notizia della bomba, dei morti e dei feriti. Allora, la vertenza dei metalmeccanici era seguita da ben due troupe televisive, una della Rai ed una di un centro privato (dal suo materiale fu ricavato, poi il film ‘’Contratto’’ con la regia di Ugo Gregoretti, mentre le pellicole girate dalla tv di Stato andarono in onda molto tempo in seconda serata).
Avvenne così che lo sbandamento, lo stupore, il dolore di quelle persone – che si muovevano in un’atmosfera intrisa di fumo calpestando un tappeto di cicche – vennero frugati ed immortalati dalle telecamere che inquadravano i volti e carpivano le parole e i commenti. È passato alla storia un dialogo tra Pio Galli, il segretario organizzativo della Fiom, e il giornalista Bruno Ugolini (colui che divenne il ‘’cantore’’ dei metalmeccanici).
Galli, ex partigiano, rispose con il suo accento lombardo alle preoccupazioni di Ugolini con un liberatorio: ‘’Bruno! Non vorrai mica che ci caliamo le braghe!’’. Fu come se quel salone fosse stato attraversato da una scossa elettrica. Tutti avevano capito che quella bomba era rivolta contro la lotta in cui erano impegnati. E si erano sentiti impotenti, indifesi contro un avversario capace di tanto. A molti era venuto un dubbio atroce: non avremo osato troppo nel dare la scalata al cielo?
L’intemerata di Galli aveva indicato quale fosse la reazione giusta. Certo, allora non eravamo abituati alle bombe, non avremmo mai pensato che si potessero concepire delitti così mostruosi verso degli innocenti che non avevano nulla da spartire con l’aspro conflitto in corso. Nella mia esperienza di sindacalista ho convissuto con le stragi. Ricordo le bombe di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974. Partecipai alla manifestazione che si tenne il giorno dei funerali.
Durante la sfilata, al passaggio del presidente Giovanni Leone e delle altre autorità si levò dalla piazza un fischio collettivo che sembrò investire il corteo con uno spostamento d’aria provocando uno sbandamento indotto dallo stupore per quella reazione popolare. Ero nella segreteria regionale della Cgil quando le bombe scoppiarono sull’Italicus; ero stato eletto segretario generale al tempo delle stragi nella stazione ferroviaria in quel tragico 2 agosto 1980 e sul Rapido 904, il 23 dicembre del 1984, la c.d. strage di Natale (con i suoi 16 morti e più di 260 feriti). Ma Piazza Fontana è stata ‘’la mia prima volta’’.
Avevo 28 anni. A quell’età è difficile rendersi conto ed accettare la durezza della storia. Arrivato ormai alla soglia degli 80 anni mi capita di interrogarmi sugli anni della strategia della tensione. La giustizia non è stata in grado – anche nel caso di sentenze passate in giudicato – di arrivare all’accertamento delle responsabilità; i depistaggi, le omissioni, la distruzione delle prove, i servizi deviati, le complicità internazionali e i teoremi precostituiti hanno caratterizzato le indagini e i processi per quei tragici eventi.
È emersa in tutta evidenza – insieme ad altri fatti – l’esistenza di una trama, di un disegno, di un progetto di destabilizzazione delle istituzioni. Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte per gli anni di piombo e del terrorismo rosso. Eppure nonostante il cinismo e la potenza dei suoi nemici le istituzioni democratiche hanno resistito. E vinto. Oggi queste stesse istituzioni sono state demolite dalla ventata dell’antipolitica. Ma non ci rendiamo conto di aver, in questo modo, demolito anche le nostre difese.