Il 6 marzo del 1975 il Parlamento italiano approva la legge che abbassa da 21 a 18 anni la soglia per la maggiore età. Aldo Moro, Luigi Gui, Oronzo Reale e Giovanni Leone sono gli artefici del provvedimento che, entrando in vigore quattro giorni più tardi, trasforma d’improvviso milioni di giovani in adulti fatti e finiti, in grado di autodeterminarsi.
La rivoluzione ha innanzitutto un peso decisivo dal punto di vista elettorale. I diciottenni votano per la prima volta alle politiche del 1976, che non sono elezioni come tante. Si parla infatti della possibilità che il Partito Comunista riesca a superare nelle urne la Democrazia cristiana, un esito che minaccia di sconvolgere l’equilibrio internazionale fra il blocco atlantico e quello d’influenza sovietica. Il sorpasso però non arriva, né in quelle elezioni né nelle successive.
Ma le acquisizioni dei 18enni non si limitano al diritto di voto. Da quel giorno di 46 anni fa, la nuova soglia della maggiore età vale anche per conseguire la patente di guida, sposarsi, iniziare a lavorare pur non avendo finito la scuola dell’obbligo, siglare contratti e guardare film vietati. In due parole, essere adulti.
Non in tutto il mondo si diventa maggiorenni a 18 anni: in Iran, ad esempio, la soglia per le donne è fissata a 9 anni e per gli uomini a 15 anni. Nel Regno Unito la maggiore età arriva invece a 16 anni, così come a Cuba o in Pakistan (per le donne), mentre servono 20 anni in Nuova Zelanda e 21 negli Stati Uniti. È chiaro però che ogni paese attribuisce un significato differente alla maggiore età in termini di diritti acquisiti.
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Infatti di colpo i ventenni verranno considerati adulti e la gente già si sposava e faceva figli a vent'anni. A trentacinque anni eri già vecchio. A dimostrazione che sono sempre i governi che decidono tutto.