Sembra incredibile solo a pensarlo, ma meno di 40 anni fa, per la precisione 39 anni fa, esisteva ancora in Italia il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Le virgolette sono d’obbligo perché di riparatorio, in quell’istituto terrificante che umiliava (ricordiamolo: fino a 39 anni fa) la dignità di una donna, non c’era proprio nulla. Eppure l’articolo 544 del Codice penale, che lo regolava (e che forse non a caso è datato 1930…), è stato abrogato solo il 5 settembre del 1981, con l’entrata in vigore della legge 442, che per l’occasione cancellava anche un altra norma mortificante, il delitto d’onore. Ma in che cosa consistevano questi due istituti non così lontani nella memoria del nostro Paese?
Il delitto d’onore era una sorta di attenuante del femminicidio: l’articolo 587 del Codice penale prevedeva testualmente che “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Insomma molto meno del minimo di 21 anni previsti per l’omicidio volontario: la vita di una donna, per giunta legata sentimentalmente o carnalmente all’uomo che l’avrebbe poi uccisa, valeva fino a soli 39 anni fa, in Italia, un corposo sconto di pena.
Altrettanto avvilente il matrimonio riparatore, le cui origini vanno cercate nel testo della Bibbia: “(…) La giovane fidanzata ha potuto gridare, ma non c’era nessuno per venirle in aiuto. Se uno trova una fanciulla vergine che non sia fidanzata, l’afferra e giace con lei e sono colti in flagrante, l’uomo che è giaciuto con lei darà al padre di lei cinquanta sicli d’argento; ella sarà sua moglie, per il fatto che egli l’ha disonorata, e non potrà ripudiarla per tutto il tempo della sua vita”. Anche in questo caso, a dimostrazione di come è stata tenuta in considerazione la donna fino a pochi anni fa, la norma era concepita come una forma di risarcimento e di tutela per la donna, che avendo perduto l’onore, non sarebbe più potuta essere presa in moglie da nessun altro uomo.
In pratica, ancora secondo il nostro Codice penale fino al 1981, se un uomo “commetteva, nei confronti di una donna nubile e illibata, stupro o violenza carnale punibile con la pena prevista dall’art. 519 e seguenti del codice penale, onde evitare il processo o al fine di far cessare la pena detentiva inflitta, poteva offrire alla ragazza il matrimonio riparatore facendo così cessare ogni effetto penale e sociale del suo delitto”. In realtà, più che una ipocrita (e non richiesta) tutela della donna, si trattava dell’ennesima scappatoia concessa all’uomo colpevole del reato, che anche in questo caso avrebbe ottenuto uno sconto di pena, anzi un completo annullamento della stessa.
Della donna in realtà importava poco, tant’è vero che secondo il costume se la ragazza rifiutava la riparazione offerta subiva il disprezzo sociale, e presumibilmente non si sarebbe più sposata. Sia il delitto d’onore che il matrimonio riparatore hanno ispirato diversi film, come “Pasqualino Settebellezze” di Lina Wertmuller o “Divorzio all’italiana” del regista Marcello Germi. Particolarmente significativo “La moglie più bella”, tratto dalla storia vera di Franca Viola, che nel 1966 fu la prima donna italiana a ribellarsi al matrimonio riparatore, rifiutandosi di sposare il suo rapitore e stupratore. La pellicola è del regista Damiano Damiani e nel ruolo di Franca Viola recita una giovanissima Ornella Muti. Il film è del 1970, precede dunque di oltre 10 anni la decisione del Parlamento italiano.