Il 2 agosto è una ricorrenza tragica nella storia d’Italia. Nel 1980 un ordigno esplosivo collocato in una valigia nella sala di attesa della seconda classe devastò un’intera ala Ovest della Stazione di Bologna provocando 85 morti e oltre 200 feriti ed invalidi. La rievocazione di quell’evento è divenuto un obbligo morale per la città e le sue istituzioni. Tutti gli anni, dopo l’incontro, riservato alle autorità, nella Sala del Consiglio comunale, nello scenario di Palazzo d’Accursio, ha luogo una manifestazione che arriva puntualmente nel piazzale della Stazione qualche minuto prima che alle 10,25 precise (l’ora dello scoppio della bomba) il suono struggente di una sirena dia l’avvio ai discorsi.
Di solito parlano il sindaco, il rappresentante del governo e chiude l’ormai storico presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi. Da alcuni anni a questa parte il rappresentante del governo (di solito un ministro, oggi Marta Cartabia, fresca del successo sulla riforma della giustizia) per evitare contestazioni interviene solo nella cerimonia in Consiglio comunale. Negli anni scorsi capitò che il ministro incaricato Gianluca Galletti fosse contestato anche a Palazzo d’Accursio dalla delegazione dei familiari delle vittime per via di contrasti con gli istituti previdenziali in tema di risarcimenti.
La strage ha dato luogo ad una serie di processi che non si sono ancora conclusi. Nel 1995 la Corte di Cassazione emise una sentenza definitiva di condanna per la coppia di estremisti di destra Fioravanti-Mambro che negarono sempre l’accusa pur ammettendo di aver preso parte ad altri omicidi. Attualmente Nel nuovo processo sulla strage del 2 agosto, il principale imputato è Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale, ritenuto dalla Procura generale tra gli esecutori dell’attentato che agì come ‘quinto uomo’ in concorso con gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) e con Gilberto Cavallini (condannato in primo grado), il ‘’quinto uomo’’, è stato riconosciuto dalla ex moglie in una foto scattata allora.
La storia, comunque, ha dato luogo a tante interpretazioni sul movente e sui mandanti, anche se è stata più volte chiamata in causa la Loggia P2 e protagonisti ora tutti defunti. Infatti,da morti sono stati accusati Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica P2 e Umberto Ortolani come mandanti-finanziatori; l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato indicato come mandante-organizzatore; Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi considerato organizzatore per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica della strage – preparatoria e successiva – nonché nell’attività di depistaggio delle indagini.
Mi sono più volte chiesto per quali motivi non si è mai data l’importanza che merita alla pubblicazione del saggio ‘’I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana’’, scritto da Rosario Priore con Valerio Cutonilli ed edito da Chiarelettere (2018). Rosario Priore è stato uno dei magistrati più impegnati nelle inchieste sui più gravi episodi di terrorismo: da Ustica, al caso Moro, all’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Priore, nel saggio, ha ricostruito gli antefatti e lo scenario della strage del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna, attribuendone – apertis verbis – la responsabilità all’estremismo palestinese, e accreditando la versione dei fatti (quella pista) che era stata archiviata.
Rosario Priore ricordava pure (svelando un altro possibile movente) che nella stessa mattina del 2 agosto 1980, mentre saltava in aria un’intera ala della Stazione di Bologna, il sottosegretario agli Esteri del Governo Cossiga, Giuseppe Zamberletti, sottoscriveva a Malta un trattato ritenuto ostile dalla Libia di Gheddafi. Per chi scrive, dopo quella lettura, i dubbi divennero ancor più giustificati e legittimi: un ex magistrato della competenza, dell’esperienza e della serietà di Priore (il quale, allo scopo di accertare i fatti, ottenne persino il recupero – da fondali profondi – della carcassa dell’aereo esploso/caduto/abbattuto in mare ad Ustica) non avrebbe messo la faccia sulla denuncia dettagliata e documentata di un probabile depistaggio in direzione opposta a quella delle indagini ufficiali.
Come se i cosiddetti servizi deviati – dei quali si è tanto parlato – avessero voluto orientare le indagini il più lontano possibile da quella pista che non ha mai convinto gli inquirenti. In fondo una ‘’strage fascista’’ era ‘’politicamente corretta’’ e non dava adito a conseguenze di carattere internazionale in un nido di vipere come il Medio Oriente. La strage di Ustica era avvenuta poche settimane prima, il 27 giugno di quell’anno maledetto.
Anche in quel caso si ha l’impressione che abbia finito per prevalere una narrazione politicamente corretta, ovvero coerente con certi teoremi politici, piuttosto che la verità giudiziaria. L’idea che il Fokker fosse stato abbattuto per sbaglio in un combattimento aereo (fuori la Nato dall’Italia!) anziché da una bomba posta nella toilette da parte dell’estremismo palestinese con la ‘’manina’’ della Libia, corrispondeva a canoni politici allora quasi fuori discussione.