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Accadde oggi: la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Una ferita sempre aperta con tante verità

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Il 2 agosto è una ricorrenza tragica nella storia d’Italia. Nel 1980 un ordigno esplosivo collocato in una valigia nella sala di attesa della seconda classe devastò un’intera ala ovest della Stazione di Bologna provocando 85 morti e oltre 200 feriti ed invalidi. La rievocazione di quell’evento è divenuto un obbligo morale per la città e le sue istituzioni. Tutti gli anni, dopo l’incontro, riservato alle autorità, nella Sala del Consiglio comunale, nello scenario di Palazzo d’Accursio, ha luogo una manifestazione che arriva puntualmente nel piazzale della Stazione qualche minuto prima che alle 10,25 precise (l’ora dello scoppio della bomba) il suono struggente di una sirena dia l’avvio ai discorsi. Di solito parlano il sindaco, il rappresentante del governo e chiude l’ormai storico  presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi .

Da alcuni anni a questa parte il rappresentante del governo (di solito un ministro, anche se quest’anno qualcuno si è preso la briga di rilevare l’assenza di Giorgia Meloni) per evitare contestazioni interviene solo nella cerimonia in Consiglio comunale. Oggi il governo è rappresentato dal titolare degli Affari interni, Matteo Piantedosi, che ha un buon rapporto con la città e le sue istituzioni, avendo ricoperto il ruolo di Prefetto.

La strage di Bologna del 2 agosto: la verità giudiziaria

Per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 c’è la verità giudiziaria che vede come esecutori gli ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati definitivamente nel 1995. Si aggiunge poi Luigi Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti) condannato nel 2007 e Gilberto Cavallini, condannato in primo grado nel 2022. Tutti e quattro si professano innocenti. L’opinione pubblica è tuttora divisa. Corre voce che la nuova maggioranza vorrebbe costituire una Commissione parlamentare di indagine che faccia luce sulla strage al di là delle sentenze divenute definitive. Sarebbe un errore, sia in via generale, sia con riferimento al caso specifico. Già è aberrante  l’idea  di istituire una Commissione sulla gestione dell’emergenza sanitaria  da Covid 19, che piuttosto che accertare i fatti, finirebbe per giustificare il negazionismo dei leader e dei partiti che oggi hanno vinto le elezioni.

Un errore istituire un nuova Commissione di indagine parlamentare sulla strage

Quanto alla strage di Bologna, istituire una commissione di indagine ora, a tanti anni di distanza, non approderebbe a nulla, poi sul piano politico darebbe l’impressione che FdI e il Msi si siano sentiti coinvolti dalla accusa di ‘’strage fascista’’ e intendano smentire questa narrazione.  In realtà, nelle vicende del terrorismo nero, è sempre stata chiara la distinzione tra la destra parlamentare e l’estremismo eversivo, in corrispondenza con quanto accadeva a sinistra, tra il Pci e il brigatismo.

Non è saggio cercare di chiarire un evento criminale in cui non si è direttamente coinvolti. Poi, certo, le sentenze di Bologna non sono del tutto convincenti, danno l’impressione di aver seguito per ragioni politiche e con ostinazione la pista dell’estremismo nero. Diversi intellettuali di sinistra fin da subito misero  in dubbio l’effettiva colpevolezza degli ex Nar. Come non ricordare Luigi Cipriani, esponente di Democrazia Proletaria, che fin da subito disse che non avrebbero dovuto scrivere “strage fascista”. Ma, a sinistra, non era un caso isolato. Ad esempio c’era Ersilia Salvato di Rifondazione Comunista e Luigi Manconi che aderirono al celebre comitato “…e se fossero innocenti?”, composto in maggioranza da persone radicalmente contrapposte alla destra. Diversi sono stati i giornalisti di sinistra come Sandro Curzi, all’epoca direttore di Liberazione o Andrea Colombo, del Manifesto.

La strage di Bogna del 2 agosto: la pista palestinese

Per quanto mi riguarda, mi hanno sempre sorpreso le reazioni dell’Associazione dei familiari delle vittime, quando venivano ipotizzate ale ipotesi sugli autori e i mandanti della strage. E’ il caso della pista palestinese/libica. Io ricordo che se ne parlò anche nei giorni successivi alla strage. Ma non mi sono mai capacitato del perché questa pista venne scartata, proprio quando emersero degli elementi indiziari molto consistenti. In seguito fu provato che la notte tra l’1 e il 2 agosto pernottò in un albergo bolognese  un terrorista bombarolo tedesco, Thomas Kram, che insieme a Margot Christa Froelic, anch’essa indagata, faceva parte delle Cellule rivoluzionarie, un gruppo armato responsabile di decine di attentati tra il 1973 e il 1995. La mattina del 2 agosto Kram prese la corriera per Firenze. Eppure quella presenza a Bologna, nella sera precedente l’attentato, fu definita nell’ordinanza degli inquirenti ‘’incomprensibile’’ e ‘’ingiustificata’’ tale da alimentare ‘’un grumo di sospetto’’. Eppure secondo la Procura non fu provato il suo coinvolgimento nella strage. Forse significa che non lo hanno visto mettere la valigia con la bomba nella sala d’aspetto di seconda classe? Ma non furono  visti, neppure, Giusva Fioravanti e la Mambro, né fu provato che i due e i loro complici fossero a Bologna la notte del 1° agosto e la mattina dopo (salvo il riconoscimento tardivo dell’ex moglie di Cavallini).

Un libro di Rosario Priore cerca di fare luce

Eppure alla magistratura, di solito,  i teoremi piacciono. Quello della pista palestinese sarebbe un teorema perfetto. Infatti, questa è la tesi messa nero su bianco nel saggio ‘’I segreti di Bologna. La verità sull’atto terroristico più grave della storia italiana’’, scritto da Rosario Priore con Valerio Cutonilli ed edito da Chiarelettere (2018). Rosario Priore è stato uno dei magistrati più impegnati nelle inchieste  sui più gravi episodi di  terrorismo: da Ustica, al caso Moro, all’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Priore, nel saggio, ha ricostruito gli antefatti e lo scenario della strage del 2 agosto 1980 alla Stazione di Bologna, attribuendone – apertis verbis – la responsabilità all’estremismo palestinese, e accreditando la versione dei fatti (quella pista) che era stata archiviata.

Rosario Priore ricordava pure (svelando un altro possibile movente) che nella stessa mattina del 2 agosto 1980, mentre saltava in aria un’intera ala della Stazione di Bologna, il sottosegretario agli Esteri del Governo Cossiga, Giuseppe Zamberletti, sottoscriveva a Malta un trattato ritenuto ostile dalla Libia di Gheddafi. Per chi scrive, dopo quella lettura, i dubbi divennero ancor più giustificati e legittimi: un ex magistrato della competenza, dell’esperienza e della serietà  di Priore (il quale, allo scopo di accertare i fatti, ottenne persino il recupero – da fondali profondi – della carcassa dell’aereo esploso/caduto/abbattuto in mare ad Ustica) non avrebbe messo  la faccia sulla denuncia dettagliata e documentata di un probabile depistaggio in direzione opposta a quella  delle indagini ufficiali. Si partiva, nel saggio, dal c.d. lodo Moro, in base al quale l’Italia diventava una zona franca per i terroristi palestinesi a patto che evitassero di commettere attentati da noi. Ma qualche cosa andò storto. Fu arrestato uno dei loro caporioni sull’autostrada con un missile in auto. Il terrorista fu condannato e respinta la richiesta di messa in libertà presentata dai suoi legali alla fine di maggio del 1980. Di qui la rappresaglia.

Il depistaggio dei servizi sulla strage di Bologna del 2 agosto

Gli ingredienti c’erano tutti: la trattativa segreta, il depistaggio dei servizi (potevano forse svelare un patto scellerato?), i mandanti. Ma tutto ciò non fu ritenuto sufficiente, neppure per proseguire le indagini.  Si  affermò persino che del lodo Moro – di cui si parla anche in tutti i bar Sport della Penisola – non esistevano le prove, come se un accordo siffatto potesse essere depositato in copia dal notaio. Poi è facile prendersela con i morti. Infatti,della strage di Bologna sono stati accusati – da morti – Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica P2 e Umberto Ortolani come mandanti-finanziatori; l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato indicato come mandante-organizzatore; Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi considerato organizzatore per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica – preparatoria e successiva – della strage nonché nell’attività di depistaggio delle indagini.

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