Il 14 ottobre del 1980, 40 anni fa, alle ore 11 circa della mattina, la Rai interrompe la trasmissione per mandare in diretta la telecronaca da Torino di una manifestazione, inaspettata nelle dimensioni, che nei decenni successivi sarà più di una volta evocata nei momenti topici delle vertenze sindacali nel nostro Paese: la marcia dei quarantamila.
Sul numero di quarantamila c’è stato un divario di opinioni: per il sindacato i manifestanti erano non più di quindici/ventimila, ancora meno per l’allora sindaco di Torino, mentre nella prima edizione pomeridiana per Stampa Sera erano trentamila. Ma come alla fine si arrivò a quarantamila? Ecco come andò.
Il mattino del 14 ottobre uscii da Mirafiori dalla porta del Drosso, l’unica delle trentacinque porte del comprensorio di Mirafiori che il sindacato non era riuscito o non aveva voluto bloccare con un presidio continuativo, e mi diressi al Teatro Nuovo di corso Massimo d’Azeglio, dove per le 9,30 il Comitato Centrale coordinamento quadri e capi intermedi Fiat aveva organizzato una riunione-assemblea generale per “urlare finalmente alle autorità latitanti e all’opinione pubblica il suo BASTA!” e il proprio diritto a rientrare in fabbrica a lavorare.
Tutto ebbe inizio agli inizi del mese di settembre, quando partì la ristrutturazione dell’Auto con i 35 giorni di blocco della Mirafiori e delle altre fabbriche e con la denuncia da parte aziendale di 23.000 esuberi, che di fronte al permanere delle incomprensioni sindacali diventarono 13.000 licenziamenti annunciati, finché furono sospesi al momento della caduta del Governo Cossiga e tramutati in liste di cassa integrazione guadagni.
Si sapeva che andare fino in fondo con i 13.000 licenziamenti sarebbe stato difficile, ma si sapeva anche che prima o poi sarebbe successo quello che doveva succedere: si arrivò così al momento in cui la mobilitazione dei capi e dei quadri intermedi divenne l’elemento decisivo.
Per 35 giorni, dall’11 settembre, giorno in cui fu avviata la procedura confederale di licenziamento collettivo per riduzione di personale, passai le mie giornate nel mio ufficio a Mirafiori, attrezzato di fortuna per la notte, salvo le rare uscite, dalla solita porta del Drosso, per fare un salto a casa a trovare la famiglia.
Nei cinque stabilimenti del comprensorio della Mirafiori erano comunque presenti e consegnati nelle mie stesse condizioni circa un centinaio di persone, tra direttori di stabilimento, capi del personale, capi officina, responsabili della funzione personale di officina, e anche personale delle sale mediche, del centralino telefonico e dei servizi generali. Analogamente negli altri stabilimenti bloccati.
Noi della Direzione Centrale del Personale tenevamo dalla Palazzina Uffici della porta 5, avanti alla quale si sarebbe tenuto il comizio di Berlinguer, il collegamento tra Carlo Callieri, il Direttore del Personale della Fiat Auto (ed uno dei quattro componenti la delegazione aziendale al tavolo della trattativa con Cesare Romiti, Cesare Annibaldi e Vittorio Ghidella), gli stabilimenti auto torinesi e quelli fuori Torino di Verrone (Vercelli), Vado Ligure, dell’Autobianchi di Desio, di Firenze, di Cassino e di Sulmona.
Le comunicazioni avvenivano esclusivamente per telescrivente, fax o per via telefonica da rete fissa e a volte, quando il centralino trovava le linee libere anche con l’allora sistema innovativo della conferenza telefonica.
Di norma il tragitto in auto dalla Mirafiori a corso Massimo d’Azeglio non richiede più di quindici minuti: quella mattina impiegai molto di più, imbottigliato in un traffico inconsueto per quell’ora, costituito da colonne di Fiat Panda 30 e 45, da 127 e 128 e da qualche Fiat 131, generalmente con un solo guidatore a bordo: erano i capi Fiat diretti al Teatro Nuovo, dove erano stati convocati dal loro Comitato Centrale.
In effetti c’era qualche incertezza in azienda sulla riuscita della manifestazione: alcuni pensavano che sarebbe già stato un successo riuscire a riempire la platea del teatro.
L’idea era nata a Cesare Romiti, come racconta a Giampaolo Pansa nel libro-intervista Questi anni alla Fiat, quando una sera fece in auto il giro del perimetro della Mirafiori e non riconobbe tra i “picchettanti” quelli che riteneva essere operai della Fiat. Ne parlò con Carlo Callieri e scattò la macchina organizzativa.
Il quartier generale dell’operazione fu posto, in posizione defilata, a Ville Roddolo, al tempo casa di cura e riposo degli anziani Fiat sulla collina torinese.
Furono mobilitate le strutture organizzative aziendali gerarchiche e funzionali. Tutti i capi e quadri intermedi degli stabilimenti di Torino furono invitati a partecipare alla manifestazione, come anche furono invitate folte rappresentanze dei fuori Torino con l’organizzazione di viaggi in pullman, treno ed aereo.
Quando, al termine dell’intervento di Luigi Arisio, il leader dei Capi e Quadri Fiat scomparso di recente, uscii dal teatro, mi trovai di fronte una muraglia umana: la “chiamata alle armi” aveva avuto un riscontro al di sopra di ogni aspettativa.
Si era radunato un numero impressionante di capi e quadri provenienti da tutta Italia e raggruppati intorno ai cartelli indicanti i rispettivi stabilimenti: Mirafiori, Lingotto, Avio, Materferro, Rivalta, Teksid, Iveco, e poi Lancia Chivasso, OM Milano, OM Brescia, Lancia Bolzano, Autobianchi Desio, Trattori Modena, e via via tutti gli altri.
Giravano molti numeri: chi diceva diecimila, chi ventimila, il portavoce dell’Ufficio Stampa aziendale mi disse che i giornalisti presenti azzardavano forse trentamila.
Decidemmo di sentire Carlo Callieri e rientrammo nell’atrio del teatro dove avevo notato un telefono a gettoni, di cui mi ero ben munito. Chiamai l’hotel Bristol di Roma dove, come mi aveva comunicato al mattino prima di lasciare la Mirafiori la segreteria della Direzione Fiat di via Bissolati, avrei trovato il dottor Callieri in riunione ristretta con Lama, Carniti e Benvenuto per preparare l’incontro sindacale che avrebbero avuto nel pomeriggio al Ministero del Lavoro.
Con Callieri decidemmo di far girare una stima realistica di circa quarantamila persone, così quando il funzionario della Digos, distaccato presso l’Unione Industriale, ci chiese che numero stavamo dando ai nostri capi e ai giornalisti, convenne che anche lui avrebbe trasmesso alla Questura e a Roma lo stesso numero.
Forse non ci sono state molte altre occasioni in cui la Questura abbia dato lo stesso numero dei partecipanti ad una manifestazione analogo a quello degli organizzatori.
La marcia dei quarantamila fu da subito percepita come la sconfitta storica del sindacato. Quando rientrai alla Mirafiori nel pomeriggio, i picchetti stavano già smobilitando.