Il 30 giugno del 1960, esattamente 60 anni fa, le strade di Genova si macchiarono di sangue. Gli scontri iniziarono dopo il corteo di protesta indetto dalla Camera del Lavoro e appoggiato dall’opposizione di sinistra contro la convocazione nella città ligure del sesto congresso del Movimento Sociale Italiano.
L’episodio ebbe un forte impatto politico a livello nazionale perché da poco meno di tre mesi era in carica il governo Tambroni, un monocolore democristiano che aveva l’appoggio esterno dei parlamentari missini, i cui voti erano decisivi per la maggioranza.
La novità innescò il caos nella Dc: il presidente del Consiglio fu costretto a dimettersi e Fanfani cercò di creare un esecutivo con una maggioranza diversa, ma non ci riuscì. Alla fine il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, scelse di respingere le dimissioni di Tambroni.
In questo clima, l’Msi decise di convocare il sesto congresso a Genova, città decorata con la medaglia d’oro della Resistenza e da cui era partita l’insurrezione del 25 aprile.
Il 6 giugno, i rappresentanti locali di comunisti, radicali, socialdemocratici, socialisti e repubblicani stamparono un manifesto in cui denunciavano il congresso missino come una grave provocazione, proclamando il “disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del Fascismo”. In seguito, i sindacati, la Camera del Lavoro e diverse personalità dell’Università di Genova si associarono alla richiesta d’impedire la riunione dell’Msi.
Nei giorni successivi furono organizzati diversi cortei e manifestazioni di protesta contro il congresso del Movimento Sociale. In una di queste occasioni, il 28 giugno, Sandro Pertini disse:
“La Polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni: non abbiamo alcuna difficoltà a indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori”.
Nonostante tutto, non arrivò alcun passo indietro e il 30 giugno si svolse la grande manifestazione unitaria delle opposizioni. Tra i sindacati, solo la Uil si oppose al corteo, mentre la Cisl lasciò i propri iscritti liberi di scegliere se partecipare o meno.
Al termine del raduno, parte dei manifestanti si spostò verso verso piazza De Ferrari, fermandosi lungo la strada sia davanti al teatro Margherita (dove il 2 luglio era convocato il congresso missino) sia davanti al Sacrario dei Caduti, dove furono cantati alcuni inni della Resistenza. Di lì a breve iniziarono gli scontri con le forze dell’ordine: il bilancio finale fu di circa 200 feriti.
Il giorno successivo, intervenendo alla Camera, il socialista Sandro Pertini accusò apertamente la Polizia:
“A provocare gli incidenti non sono stati i Carabinieri, non le Guardie di Finanza: è stata la Polizia”.
A quel punto, Prefetto e Questore di Genova cercarono di convincere il Movimento a spostare la sede della riunione, poiché il Teatro Margherita era considerato troppo vicino al Sacrario dei Caduti e il rischio di nuovi scontri era alto.
Alla fine il direttivo del Movimento Sociale, guidato da Arturo Michelini, annullò la manifestazione parlando di “gravissime responsabilità che da un lato i sovversivi e dall’altro il governo si sono assunti nel rendere praticamente irrealizzabile un congresso di partito e nel tollerare una sfrontata violazione del Codice penale”.
Nel processo che seguì gli scontri del 30 giugno vennero imputate 43 persone, di cui 41 furono condannate due anni più tardi.
Quanto al governo Tambroni, non sopravvisse un mese ai fatti di Genova: cadde il 27 luglio del 1960. Rimase l’unico esecutivo nella storia della Repubblica sostenuto dal Movimento Sociale Italiano.