Lo sbarco dell’essere umano nello spazio compie oggi 60 anni. Era il 12 aprile del 1961 quando un pilota 27enne dell’esercito sovietico, Jurij Gagarin, divenne il primo cosmonauta nella storia dell’umanità. Partito da Mosca alle 9.07 a bordo della navicella Vostok1 (in italiano, Oriente1), in 108 minuti Gagarin completò un’orbita ellittica intorno alla Terra. La velocità media arrivò a 27.400 chilometri all’ora, mentre l’altitudine oscillò fra un minimo di 175 e un massimo di 302 chilometri dalla superficie del mare.
Durante il volo, con un ordine speciale e un discreto senso dello spettacolo, Gagarin fu promosso a pilota militare di prima classe con il grado di maggiore. Eppure, c’è da scommettere che in quei momenti la sua attenzione fosse rivolta altrove: sapeva di essere il primo uomo a osservare la Terra dallo spazio. “Il cielo è molto nero, la Terra è azzurra – disse durante il volo – Si vede tutto molto chiaramente”.
Il viaggio di Gagarin fu essenzialmente quello di un passeggero: il controllo della navicella era infatti gestito da un computer a terra e i comandi di bordo, pur essendo attivabili in caso di necessità, rimasero bloccati per tutto il tempo.
Alla fine dell’orbita, la capsula frenò la sua corsa accendendo i retrorazzi e rientrò nell’atmosfera terrestre. Quando si trovava a circa settemila metri da terra, Gagarin fu espulso dall’abitacolo e paracadutato a terra, nel territorio di quello che oggi è il Kazakistan. Il volo terminò alle 10.55, ora di Mosca.
Due giorni dopo, Gagarin fu celebrato con una parata lunga 19 chilometri alla quale parteciparono milioni di persone e che si concluse nella Piazza Rossa della capitale russa. Dopo un breve discorso, gli fu conferito il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, l’Ordine di Lenin e quello di pilota-cosmonauta dell’Urss.
Gagarin morì il 27 marzo 1968, a soli 34 anni, schiantandosi al suolo mentre pilotava un piccolo caccia. Sulle circostanze dell’incidente non è mai stata fatta piena luce.