Il 25 dicembre del 1989, esattamente 30 anni fa, Nicolae Ceaușescu e la moglie Elena furono condannati a morte e giustiziati. Si chiuse così, con un processo sommario e una fucilazione, la parabola del dittatore che guidò la Romania come presidente della Repubblica per oltre 20 anni.
Soltanto un mese prima, il 71enne Ceaușescu era stato rieletto per altri 5 anni al vertice del Partito Comunista Rumeno, di cui era segretario dal 1965. A dicembre tuttavia s’innescò la catena di eventi che portò al collasso del regime (e la cui interpretazione storica rimane controversa, soprattutto per quanto riguarda il ruolo svolto dagli apparati militari). La rivoluzione (che secondo alcuni sarebbe meglio classificare come colpo di Stato) iniziò dopo una serie di scontri avvenuti a Timișoara e a Bucarest, dove centinaia studenti scesero in piazza per manifestare contro il governo.
Il 17 dicembre l’esercito e la polizia spararono sulla folla e il giorno successivo Ceaușescu partì per una visita di Stato in Iran, lasciando il compito di sopprimere la rivolta ai collaboratori e alla moglie. Quando tornò in patria, tre giorni dopo, la situazione era ancora fuori controllo, così il dittatore pronunciò un discorso alla televisione in cui parlò di “interferenze di forze straniere negli affari interni rumeni” e di “un’aggressione straniera alla sovranità della Romania”.
Il 21 dicembre scoppiò a Bucarest una rivolta popolare, che nell’arco di 24 ore si diffuse a tutte le principali città del Paese. Assediati dalla folla nella capitale, Ceaușescu e la moglie fuggirono in elicottero dal gigantesco palazzo del Comitato centrale. Riuscirono a lasciare la città, ma non a uscire dal Paese.
Il processo al dittatore fu registrato e da allora viene ritrasmesso ogni Natale dalla televisione nazionale rumena. La camera di consiglio durò appena 55 minuti e si risolse naturalmente con la condanna più grave. L’accusa principale era di genocidio per la strage di Timișoara (notizia che poi si rivelò infondata), a cui si aggiungeva la colpa di aver condotto la popolazione rumena alla povertà e di aver accumulato illegalmente ricchezze. Che il regime di Ceausescu sia stato liberticida e abbia affamato il popolo è, in ogni caso, fuori discussione.
Prima di morire, Ceaușescu disse che la storia avrebbe giudicato positivamente il suo operato. L’ormai ex dittatore, davanti al plotone, iniziò anche a cantare l’Internazionale. Le ultime parole di sua moglie Elena, invece, furono un grido di rabbia: “Andate tutti all’inferno”.