A quest’ora, 11 anni fa, i vertici di Bruxelles e di Francoforte iniziavano a capire quanto fosse profondo il baratro della crisi che si andava spalancando. Il 4 dicembre 2008, a quasi tre mesi dal fallimento di Lehman Brothers negli Stati Uniti, la Banca centrale europea operò il taglio dei tassi d’interesse più significativo della sua storia. La sforbiciata fu di 75 punti base, assai più consistente di quella attesa dai mercati, e portò il costo del denaro dal 3,25 al 2,5%, il livello più basso dal maggio 2006. Nulla di paragonabile agli ultimi anni, naturalmente: oggi il tasso principale praticato dalla Bce è pari a zero, il minimo storico.
A fine 2008, però, la situazione era molto diversa. “È il più grande taglio di sempre, una cosa mai fatta prima”, commentò il francese Jean Claude Trichet, all’epoca numero uno dell’Eurotower (dopo di lui arrivò Mario Draghi).
Ma non sarebbe finita lì: nella prima riunione del nuovo anno, a gennaio del 2009, la Bce intervenne nuovamente sui tassi d’interesse, portando quello principale al 2%. La stessa cosa avvenne a marzo, poi ancora ad aprile e di nuovo a maggio: una serie di riduzioni che portò il tasso di riferimento fino all’1%.
In questo modo Trichet pagò dazio per il suo errore più grande. Il banchiere centrale non è passato alla storia per i tagli dei tassi, quanto per la decisione iniziale di alzarli. Il 9 luglio del 2008 la Bce aveva portato il tasso di riferimento dal 4 al 4,25%, stringendo i cordoni del credito proprio quando la crisi finanziaria globale stava per infliggere i colpi più duri. L’esatto contrario di quello che avrebbe dovuto fare, come Trichet stesso avrebbe capito qualche mese più tardi.