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Accadde Oggi – 31 luglio 1954: la conquista italiana del K2 e le polemiche che ne hanno oscurato il glorioso successo

Sono passati 70 anni da quando Achille Compagnoni e Lino Lacedelli raggiunsero per la prima volta la vetta del K2, facendola diventare simbolicamente la “montagna degli italiani”. Nonostante le polemiche, l’Italia continua a brillare nel Karakorum grazie alla passione delle nuove generazioni di alpinisti

Accadde Oggi – 31 luglio 1954: la conquista italiana del K2 e le polemiche che ne hanno oscurato il glorioso successo

Il 31 luglio 1954 l’Italia scrisse una delle pagine più gloriose della sua storia alpinistica con la conquista del K2, la seconda montagna più alta del mondo, con i suoi imponenti 8.611 metri. Settant’anni dopo, quell’eredità continua a brillare. La spedizione della sezione di Biella del Club Alpino Italiano ha ottenuto successi importanti, con Gian Luca Cavalli e Cesar Rosales che hanno raggiunto la cima del Broad Peak e Tommaso Lamantia che ha conquistato il K2, affrontando condizioni meteorologiche estremamente avverse. Tuttavia, non tutte le spedizioni sono state fortunate: le condizioni meteo hanno ostacolato i tentativi sul Broad Peak e su altre vette, portando a ritiri e rinunce, come nel caso della spedizione tutta al femminile del Cai centrale, bloccata al Campo 3.

Questi successi e tentativi non solo celebrano il settantesimo anniversario della conquista del K2, ma dimostrano anche come lo spirito di avventura e la passione per l’alpinismo continuino a ispirare nuove generazioni di alpinisti italiani, mantenendo viva la tradizione e il legame storico con le montagne più imponenti del mondo.

Un’impresa epica

Il 5 aprile 1954, una spedizione italiana salpava dal porto di Genova, destinata a scrivere una pagina indimenticabile nella storia dell’alpinismo. Guidati dall’esperto geologo Ardito Desio, la squadra italiana includeva alpinisti di fama come Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, insieme ad altri 11 alpinisti italiani e cinque ricercatori. Supportati da numerosi portatori pakistani, che aiutarono nel trasporto del materiale fino al campo base e durante la salita, il loro obiettivo era la vetta del K2, il cui nome deriva dalla catena del Karakorum, che in turcomanno significa “ghiaia nera”. Questa imponente montagna, conosciuta localmente come Dapsang o Chogori, era rimasta a lungo inviolata e aveva resistito a numerosi tentativi di scalata, compresa una spedizione americana fallita nel 1953.

Il viaggio verso il campo base fu una vera odissea. Dopo aver raggiunto Karachi, la spedizione si diresse verso Rawalpindi e Skardu, trasportando ben 16 tonnellate di attrezzature e viveri. La fase cruciale del viaggio prevedeva l’uso di teleferiche improvvisate e il lavoro di oltre 500 portatori baltì, ognuno con carichi di 25-30 chili, per trasportare il materiale attraverso terreni impervi e condizioni climatiche avverse. Ogni passo del percorso metteva alla prova la resistenza e la determinazione del gruppo.

Le sfide della spedizione

La spedizione affrontò condizioni che sfidavano i limiti della sopravvivenza. Le attrezzature, pesanti e obsolete, si rivelarono inadeguate per le gelide temperature del Karakorum. Le comunicazioni via radio erano ingombranti e inaffidabili, e le previsioni meteorologiche si rivelarono spesso errate. A complicare ulteriormente la situazione ci furono anche difficoltà politiche ed economiche. L’autorizzazione del Pakistan per la spedizione fu concessa solo all’ultimo minuto, creando ritardi aggiuntivi. Inoltre, l’Italia attraversava un periodo di grande instabilità politica, con la caduta del governo di Giuseppe Pella avvenuta pochi mesi prima della partenza della spedizione. Questo cambiamento politico rallentò notevolmente la raccolta dei fondi e complicò la gestione finanziaria del progetto, aumentando i costi e richiedendo un budget superiore.

Per realizzare l’impresa, erano necessari oltre 80 milioni di lire dell’epoca (circa 1 miliardo e 250 milioni di euro). I fondi furono raccolti principalmente da istituzioni come il CNR, il CONI e il CAI. Nonostante le difficoltà economiche e logistiche, la spedizione riuscì a partire e catturò l’immaginazione del pubblico italiano, che vedeva in essa un simbolo di riscatto. Al ritorno a Genova, i membri furono accolti da una folla entusiasta di 40mila persone. Ma dietro il festoso clamore di quel successo si celava una serie di sfide estreme e polemiche che avrebbero macchiato il successo per oltre 50 anni.

Il trionfo e le polemiche

Il 31 luglio 1954, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli raggiunsero finalmente la vetta del K2, piantando la bandiera italiana su quella cima leggendaria. L’impresa suscitò un’ondata di entusiasmo e orgoglio nazionale. Dino Buzzati, sul Corriere della Sera, catturò la magia del momento: “Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. […] Anche chi non aveva mai visto una montagna […] al lieto annuncio, abbiamo sentito una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura. […] “Gloria”, “trionfo” sono le parole che gli Inglesi, per cui l’antiretorica è legge nazionale, hanno adoperato senza risparmio l’anno scorso quando venne vinto l’Everest. Perché oggi non dovremmo usarle noi?”

Tuttavia, il successo fu oscurato da controversie e polemiche, soprattutto riguardo al ruolo di Walter Bonatti e dell’hunza Amir Mahdi. La versione ufficiale di Ardito Desio, sostenuta da Compagnoni e Lacedelli, accusava i due di aver abbandonato i compagni e di non aver contribuito adeguatamente al trasporto delle bombole di ossigeno e alla preparazione dei campi. Bonatti, invece, raccontò di aver affrontato una notte terribile senza tenda a circa 8.100 metri, con temperature che scesero fino a 50 gradi sotto zero, mentre cercava di recuperare le bombole di ossigeno. La loro sopravvivenza fu un miracolo, e il portatore pakistano subì gravi amputazioni a causa del congelamento.

A complicare la situazione, la mancanza di chiarezza riguardo alla morte di Mauro Puchoz, avvenuta per un edema polmonare durante la spedizione.

Le conseguenze e i dubbi persistenti

Le polemiche continuarono a imperversare per anni. Nel 1964, la controversia raggiunse un nuovo culmine: Bonatti fu accusato di aver usato l’ossigeno destinato ai compagni durante la notte, costringendoli a percorrere l’ultimo tratto senza bombole, e abbandonando Mahdi al suo destino. Per difendere il suo onore, Bonatti avviò un lungo processo per diffamazione. Alla fine dimostrò l’infondatezza delle accuse. Gli articoli di Nino Giglio, che avevano contribuito a diffondere tali accuse, furono rettificati, e Bonatti donò l’indennizzo a un’associazione caritatevole.

Nel 1994, il dottor Robert Marshall riaccese la polemica, basandosi su fotografie che mostrano Compagnoni e Lacedelli in cima al K2 con maschere d’ossigeno. Marshall ipotizzò che l’ossigeno fosse stato usato fino in vetta, contrariamente alla versione ufficiale (Compagnoni e Lacedelli giustificavano l’uso della maschera per proteggere le vie respiratorie e il trasporto di bombole vuote come una misura di sicurezza). Tuttavia, la ricostruzione di Marshall presentava inesattezze e contraddizioni, e le bombole si rivelarono progettate per consentire una respirazione anche senza ossigeno.

Sempre in quell’anno, il Club Alpino Italiano (Cai) pubblicò una revisione storica che finalmente riconosceva il contributo di Bonatti e ammetteva che alcune controversie erano state trattate in modo inadeguato. Tuttavia, Ardito Desio non accettò mai di modificare la sua versione ufficiale, e molte questioni rimasero irrisolte. Nel 2004, per il cinquantesimo anniversario della spedizione, il CAI incaricò una commissione di esperti per riesaminare i fatti. La relazione finale confermò alcune delle osservazioni di Bonatti, ma non riuscì a risolvere tutte le controversie, dimostrando che le ambiguità e le divergenze di opinione erano parte integrante della storia della spedizione.

Nonostante le polemiche e le controversie, il 31 luglio 1954 rimane un giorno indelebile nella storia dell’alpinismo, quando il K2, a tutti gli effetti, divenne la montagna degli italiani. E continua ancora oggi ad esserlo.

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