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Accadde Oggi – 19 marzo 2002 l’assassinio del giuslavorista Marco Biagi ma la sua lezione è più viva che mai

Imagoeconomica

Sono trascorsi 22 anni da quella sera maledetta in cui un commando piuttosto scalcinato e vile (ammisero che se la vittima fosse stata armata o scortata da un carabiniere non ci avrebbero neppure provato) attesero Marco Biagi sotto casa in via Valdonica Bologna (a un tiro di schioppo dalle Due Torri, di cui una, la Garisenda, oggi è pericolante) e lo uccisero con la medesima pistola usata per uccidere, anni prima a Roma, Massimo D’Antona, un giuslavorista riformista della stessa generazione di Biagi.

Una morte annunciata

‘’C’è una sola variante – ha scritto Umberto Romagnoli – che rende il delitto del 19 marzo 2002 ancora più inaccettabile e agghiacciante: quella di Marco è stata una morte annunciata alla vittima, ma le minacce ricevute non furono credute dalle pubbliche autorità preposte alla sicurezza’’.

In memoria di Marco sono state sviluppate in questo ormai lungo arco di tempo parecchie iniziative: una fondazione a Modena a suo nome, presieduta dal Marina Orlandi la compagna della sua vita; una scuola di giovani talenti, ricca di pubblicazioni di diritto del lavoro e sindacale, guidata da Michele Tiraboschi, l’allievo prediletto di Marco; un premio per una tesi di laurea o di dottorato di particolare valore, oltre ad una serie di incontri organizzate dalle istituzioni. Molte sale nelle accademie e nelle sedi pubbliche sono state intestate alla memoria di Biagi. Ogni anno poi, la ricorrenza viene ricordata con convegni e iniziative culturali.

Il contributo di Biagi al diritto di lavoro

Importante è stato il contributo del pensiero e dell’opera di Biagi al diritto del lavoro. Potremmo dire che Biagi è ancora tra di noi perché gli esseri umani devono temere l’oblio più che la morte. Anzi mi piace pensare che dove si trova ora sia molto compiaciuto del campionato del Bologna f.c. la sua squadra del cuore che lo portava sempre allo stadio, insieme ai figli (convertiti alla medesima fede calcistica), nelle giornate in cui lo ‘’squadrone che tremare il mondo fa’’ giocava in casa. Ricordo che quando Francesco, il primogenito, era in Messico per completare il dottorato di ricerca, io mi era impegnato ad informarlo – tramite e-mail – sull’esito delle partite del Bologna. Credo anche che Marco sia felice di essere diventato nonno di due bambine e di vegliare dalla Gerusalemme celeste sulla loro crescita. Il martirio lo ha anche messo al riparo delle critiche più laceranti e di carattere personale, che provennero in primo luogo dal mondo accademico e che avvelenarono gli ultimi mesi della sua vita, quando il gruppo di lavoro da lui coordinato presentò il Libro Bianco sulla riforma del mercato del lavoro nell’autunno del 2001 e Biagi tradusse le proposte che vi erano contenute nel disegno di legge che una volta approvato porta ancora il suo nome.

La “Legge Biagi”

Ma nel retro pensiero di tanti dirigenti politici e sindacali e di operatori del diritto Biagi rimane l’inventore della precarietà, come se la Luna esistesse solo perché qualcuno la indica col dito. Marco era convinto che la flessibilità dei rapporti di lavoro fosse un’esigenza ineludibile e che il compito del giurista fosse quello di definire delle regole a tutela del lavoratore. ‘’Occorre prevedere – era scritto nel Libro Bianco – nuove tipologie contrattuali che abbiano la funzione di “ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle mutate esigenze produttive ed organizzative’’. Poi proseguiva, sostenendo che questi interventi – che portavano la norma dove non c’era – dovessero essere finalizzati a bonificare il mercato del lavoro da abusi frodatori’’: interventi correttivi tanto più urgenti per eliminare quegli ostacoli normativi che ancora rendevano complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili, che erano utilizzate (ecco il benchmarking) in larga misura in tutti i paesi europei senza che questo avesse comportato situazioni di esclusione sociale o di bassa qualità del lavoro.

Anche per i suoi nemici dopo il 19 marzo 2002 divenne molto difficile non rendere omaggio a un intellettuale caduto (come Ezio Tarantelli e Massimo D’Antona) sul campo a causa delle sue convinzioni e del suo lavoro. Ma, se non la persona, il pensiero di Marco resta annotato nel Libro nero dei giuristi e dei politici che hanno consentito la manomissione della sacralità del rapporto di lavoro standard. Poi – chiodo schiaccia chiodo – l’ostilità verso la legge Biagi è stata superata da quella più recente riservata al jobs act a cui riuscì l’impresa di mettere le mani sulla disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro con norme che sono tuttora dieci anni dopo materia di perenne controversia; la Cgil, infatti, ha appena deciso di raccogliere le firme per un referendum abrogativo di alcune norme del pacchetto riconducibile alla sigla del jobs act (una legge delega e i relativi decreti legislativi di applicazione).

Il gruppo di lavoro: solo Biagi ci mise la faccia

Il gruppo di lavoro istituito dal ministro Roberto Maroni per la redazione del Libro Bianco era coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi; ne facevano parte anche: Carlo Dell’Aringa, Natale Forlani, Paolo Reboani, Paolo Sestito. Ma fu Biagi, in quei pochi mesi a metterci la faccia e ad andare in giro a contrastare le critiche. Ricordo che persino la Pastorale del Lavoro volle incontrare il cattolico praticante Marco Biagi perché preoccupata dei contenuti contrari agli interessi dei lavoratori attribuiti al Libro Bianco. Ma il momento più amaro per Marco fu l’incontro/scontro, svolto al Cnel, con il mondo accademico dei giuristi del lavoro, in gran parte critici del Libro bianco, per motivi ideologici, perché accusavano quel documento non tanto con riferimento a specifiche questioni, ma per il suo ésprit de finesse che considerava i rapporti flessibili come legittimi ed utili, se ben regolati, e non come deviazioni dai sacri principi del lavoro a tempo indeterminato.

In quell’occasione Biagi a conclusione della relazione introduttiva benché il Libro Bianco non avesse affrontato quella materia, si tolse lo sfizio di dire la sua opinione sull’articolo 18 e la reintegra nel posto di lavoro, i temi allora al centro del dibattito. ‘’Secondo me – disse – in tutto il mondo il riparo al licenziamento ingiusto è nella logica risarcitoria. Siamo nel campo del diritto civile che riconosce un unico modo per riparare i danni subiti: quello del risarcimento, magari ampio e tempestivo, ma un risarcimento. La coazione degli obblighi di fare non esiste e difatti il caso italiano dice che la reintegrazione è talmente marginale che non ha più ragione di essere’’.

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