Condividi

Accadde Oggi – 17 maggio 1972: l’omicidio del Commissario Luigi Calabresi e la lunga ombra degli Anni di Piombo

Il 17 maggio 1972, il Commissario di Polizia Luigi Calabresi viene assassinato a Milano da un commando di Lotta Continua. Un evento che ha segnato gli Anni di Piombo e aperto un acceso dibattito sul terrorismo e la giustizia in Italia. La storia, le indagini, i processi e il controverso lascito di questa pagina buia della storia italiana

Accadde Oggi – 17 maggio 1972: l’omicidio del Commissario Luigi Calabresi e la lunga ombra degli Anni di Piombo

Il 17 maggio 1972, a Milano, un commando di due uomini mascherati attende il Commissario di Polizia Luigi Calabresi fuori dalla sua casa in via Cherubini. Alle 9:15 del mattino, quando esce, gli sparano sei colpi di pistola. I sicari fuggono su un’auto con un complice alla guida. Calabresi cade gravemente ferito e muore sul colpo, lasciando la moglie Gemma incinta e due figli piccoli.

Il brutale omicidio di Calabresi, avvenuto 52 anni fa, è ritenuto uno dei più significativi degli Anni di Piombo e ha influenzato il dibattito pubblico per molti anni, data la complessità del processo che ne è seguito. Il commissario Calabresi, assegnato alla squadra politica della Questura di Milano, si occupava di monitorare le manifestazioni e i gruppi estremisti nella città.

Un’omicidio annunciato

L’omicidio del Commissario Calabresi non fu inaspettato considerando la lunga campagna di diffamazione da parte del movimento extraparlamentare di estrema sinistra, Lotta Continua. Calabresi era diventato il bersaglio del movimento a causa del suo coinvolgimento nelle controversie riguardanti la morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico precipitato dalla finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio che aveva generato polemiche e accuse di abuso di potere nei confronti della polizia. Anche se Calabresi non era direttamente coinvolto nell’interrogatorio al momento della caduta di Pinelli, la sua figura era diventata il simbolo di quella vicenda controversa. Lotta Continua accusava Calabresi di essere responsabile della morte di Pinelli, alimentando così un clima di odio e tensione che portò al suo assassinio.

Il giorno dopo la morte di Calabresi, il 18 maggio, il giornale Lotta Continua titolò: Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell’assassinio di Pinelli.

Il 17 maggio 1973, in occasione del primo anniversario dell’assassinio di Calabresi, fu inaugurato un busto commemorativo nel cortile della Questura di Milano, con la partecipazione del Ministro dell’Interno Mariano Rumor. Durante la cerimonia, l’anarchico Gianfranco Bertoli lanciò una bomba a mano tra i presenti, causando la morte di 4 persone e il ferimento di altre 52. Tuttavia, il Ministro Rumor non fu colpito, nonostante fosse stato indicato come possibile obiettivo. Bertoli rivendicò l’attacco come vendetta per la morte di Pinelli, gridando: “Morirete tutti come Calabresi e ora uccidetemi come Pinelli”.

Le indagini e i processi

L’omicidio di Calabresi rimase a lungo senza colpevoli. Le indagini furono complesse e controverse, spesso ostacolate da pressioni politiche e da un clima di diffidenza reciproca tra forze dell’ordine e società civile. Alcune ricostruzioni collegarono l’omicidio agli ambienti di estrema destra, suggerendo che Calabresi fosse stato ucciso durante un’indagine sul traffico d’armi e finanziamenti agli eversori tedeschi. Inoltre, il settimanale Il Mondo avanzò l’ipotesi che l’omicidio fosse legato alla strage di piazza Fontana, sostenendo che Calabresi avesse individuato i mandanti dell’attentato. Solo negli anni ’80 si giunse a una svolta grazie alle testimonianze di alcuni pentiti, che portarono all’accusa di alcuni membri di Lotta Continua quando Leonardo Marino confessò il suo coinvolgimento.

Nel 1988, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino furono accusati di essere i mandanti e gli esecutori dell’omicidio. Dopo una serie di processi e ricorsi, nel 1997, la Corte di Cassazione emise una sentenza che portò ad arresti e condanne definitive: Ovidio Bompressi e Leonardo Marino furono individuati come esecutori materiali dell’omicidio di Luigi Calabresi, mentre Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri furono considerati mandanti sovversivi anti democratici. Furono dati 22 anni di reclusione per Sofri, Pietrostefani e Bompressi, e 11 anni per Marino, che aveva collaborato con la giustizia. Nelle condanne non fu inclusa l’aggravante di terrorismo.

Un simbolo del sacrificio dello Stato

La vicenda di Calabresi e la sua tragica fine rimangono una pagina dolorosa e controversa della storia italiana. Da un lato, la figura di Calabresi è stata riabilitata come quella di un servitore dello Stato vittima della violenza politica. Nel 2004, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria per aver “sacrificato la vita per garantire la tutela dell’ordine democratico”. Dall’altro lato, le vicende giudiziarie hanno lasciato strascichi e polemiche, con molti che ancora oggi discutono sull’effettiva colpevolezza dei condannati. Alcuni settori della sinistra italiana hanno a lungo considerato Sofri e gli altri accusati come vittime di un errore giudiziario e di una vendetta politica.

Nel 2019, l’Enciclopedia Treccani ha dedicato a Calabresi una biografia nel Dizionario Biografico degli Italiani, analizzando dettagliatamente il contesto culturale che portò alla sua emarginazione a Milano prima dell’assassinio. Questo include le indagini sulla Strage di Piazza Fontana e sulla morte di Giuseppe Pinelli, le allucinanti eorie giornalistiche che dipinsero Calabresi come un assassino, le ambiguità della Questura e del Ministero dell’Interno, e le campagne degli intellettuali di sinistra dell’epoca.

Resta il fatto, che ancora oggi, dopo 52 anni, il ricordo di Luigi Calabresi è più vivo che mai.

Commenta