Dieci anni or sono, alle 11,41 dell’11 febbraio, si verificò un evento che nessuno si aspettava e che in breve tempo fece il giro del mondo. L’ANSA batté la notizia alle 11,47 e soltanto l’autorevolezza dell’agenzia convinse le redazioni di tutti i media del pianeta a non cestinare il dispaccio considerandolo più che una fake news una vera e propria grottesca provocazione.
Se la notizia avesse riguardato la morte di un Pontefice per di più anziano, non si sarebbe sollevata tanta sorpresa: Benedetto XVI aveva annunciato le dimissioni dal Soglio di Pietro e da vescovo di Roma, un gesto che a memoria di storico della Chiesa si era verificato solo due volte; ma la prima, quella di Celestino V nel lontano 1294, non era mai stata omologata, perché nessuno allora aveva preso sul serio l’elezione di un prelato che godeva fama di santità già in vita.
Le dimissioni di Benedetto XVI e “l’ingravescenti aetate”
Ad accorgersi che stava accadendo qualche cosa di eccezionale – si veda il saggio ‘’Il monastero’’ di Massimo Franco per le edizioni Solferino – fu una giornalista ‘’vaticanista’’ dell’ANSA, che aveva seguito il Concistoro e che si era fermata ad osservare, incuriosita, ciò che cosa stava facendo Papa Ratzinger con un foglietto in mano di cui, fin dalle prime parole, si capì che era scritto in latino.
Giovanna Chirri – era questo il nome della giornalista – aveva la fortuna di aver compiuto al liceo classico severi studi di latino e appena sentì pronunciare dal Pontefice le parole ‘’ingravescenti aetate’’ (le medesime del ‘’motu proprio di Paolo VI che, in pratica mandava in pensione i Cardinali al compimento dei 75 anni) intuì ciò che stava per accadere e che sarebbe divenuto operativo alle ore 20 del 28 febbraio (il 2013 non era un anno bisestile).
Chirri chiese conferma al direttore della Sala stampa vaticana, il quale confermò la notizia. Che cosa avvenne in seguito è cosa nota e se ne è parlato a lungo dopo la scomparsa del Papa emerito, rievocando quel gesto inusitato, cercandone le spiegazioni e soprattutto soffermandosi sull’anomalia dei due Papi, resa ancor più singolare per l’imprevista lunga convivenza tra due personalità così differenti tra di loro nel contesto di una Istituzione Chiesa molto lacerata al suo interno. Peraltro il destino ha voluto che la sopravvivenza di Benedetto per un periodo più duraturo del suo Pontificato creasse qualche problema non previsto nel momento della rinuncia.
La diarchia dei due Papi
Ovviamente nella società della comunicazione ognuno è in grado di farsi un’opinione leggendo quanto è stato scritto a proposito di questa diarchia. Se mi è consentito, da profano, di aggiungere alla rievocazione di quella giornata storica, qualche considerazione di carattere personale, devo aggiungere che mi sono chiesto in tutti questi anni come sia stata possibile una discontinuità così emergente tra il Pontificato di Benedetto e quello di Francesco.
È difficile entrare nelle dinamiche che inducono il Sacro Collegio a eleggere un Papa, tanto più per chi crede nell’ispirazione della Divina Provvidenza di cui è precetto l’infallibilità (sarà perché l’Onnipotente vide in quell’occasione aspetti che sfuggono a noi mortali). A quanto è apparso i due Papi hanno accuratamente evitato ogni motivo di discordanza, palese e riservata, ma le differenze nell’esercizio del ministero è riuscito a coglierle anche un chierichetto.
La Chiesa di Benedetto XVI
Elevato al soglio di Pietro nella scelta del nome il Cardinale Ratzinger aveva già voluto sottolineare quale fosse la sua visione della Chiesa, la quale non sarebbe potuta sopravvivere separata dalle sue radici nel Vecchio Continente e dalla sua cultura, compreso l’Illuminismo. San Benedetto è il patrono dell’Europa e furono i benedettini a mettere in salvo i classici di quel pensiero filosofico greco che, inglobato nell’empirismo dell’Impero di Roma, venne diffuso nel mondo.
Ratzinger, per tanti anni custode della fede, aveva compreso che gli effetti del relativismo, truccati da modernità, avrebbero coinvolto anche la Chiesa, se non fosse rimasta ancorata a quelli che erano ritenuti valori non negoziabili. Ricordo un’importante omelia che l’allora Cardinale Ratzinger pronunciò all’apertura del Concistoro chiamato ad eleggere il successore di Papa Giovanni Paolo II (Missa pro eligendo Romano Pontefice, nella Basilica di San Pietro il 18 aprile 2005). Quelle considerazioni sulla Chiesa Cattolica si sono rivelate profetiche e anticipatrici di quanto sarebbe avvenuto nell’arco di alcuni anni e che Ratzinger, divenuto Benedetto XVI, non riuscì a contrastare.
‘’Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno – denunciava Ratzinger – nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo – ecco la questione centrale del declino, ndr – una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie’’.
La Chiesa stava perdendo l’Europa sul piano dell’etica e quindi della principale funzione che era chiamata ad esercitare, dopo la fine del potere temporale. L’Europa – la culla della civiltà giudaico-cristiana – ha scoperto nel nuovo “vitello d’oro” del ‘’dirittismo’’ un’altra etica ‘’immorale’’ perché rivolta a demolire, in nome dei ‘’nuovi diritti’’, ogni principio del diritto naturale (su cui è fondata la dottrina della Chiesa) fino a consolidare le nuove dottrine nel diritto positivo, che non si limita più a trasferire negli ordinamenti giuridici i diritti naturali delle persone, ma li crea lasciando ‘’come ultima misura il proprio io e le sue voglie’’.
La Chiesa di Papa Francesco
Che dire, invece, della ‘’visione del mondo’’ predominante nella Chiesa di Francesco? Più volte si è notato che il Papa non parla dell’Europa come entità non solo politica, ma anche spirituale. Basta osservare il tragitto delle visite apostoliche di Francesco e metterle a confronto con quelle di Benedetto per accorgersi quanto, per il primo, l’Europa sia marginale, mentre per il secondo rappresentava il principale luogo dell’Apostolato. Ed è nella Chiesa del Vecchio Continente dove è aperta la ‘’guerra civile’’ che si ripercuote in tutte le direzioni in cui gli Stati europei hanno portato – spesso imposto nei secoli – il Cristianesimo.
Sul piano dottrinale il Vaticano di Francesco non è grado di attestarsi su nuovi valori né di difendere quelli della tradizione. Resta a metà. Mostra aperture a parole (si pensi ai temi della omosessualità), ma si guarda bene dall’innovare i canoni della vita cristiana.
Il Papato oggi dissimula le sue incertezze invocando il rafforzamento dell’azione pastorale: come disse Francesco, i sacerdoti sono custodi del gregge e devono avere lo stesso odore delle pecore loro affidate. Il compianto Cardinale Carlo Caffarra fu il primo a denunciare questa teoria, quando ancora Papa Francesco viveva la sua luna di miele con i fedeli e con l’opinione pubblica mondiale: ‘’Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina – disse Caffarra – non è più pastorale, è solo più ignorante”.
Oggi i cristiani sono perseguitati in molte aree del mondo, quelle stesse che Papa Francesco predilige nel suo apostolato. Ma in Europa – dove la Chiesa potrebbe avvalersi dello Stato di diritto e della possibilità di influire sulla politica – i cristiani sono abbandonati a se stessi, i loro principi vengono banditi dal diritto positivo in nome di un’idea di libertà confinante con l’arbitrio.
Bisognerebbe rileggere il discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona – il 12 settembre 2006 – per cogliere lo stretto legame tra la cultura occidentale e il Cristianesimo. ‘’Non è sorprendente – disse il Santo Padre – che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa’’.