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Abravanel: “L’Italia rischia di diventare il malato del mondo e cambiare il premier non basta”

Il double dip è alle porte in tutto il mondo e l’Italia ha un ruolo chiave ma serve un salto di qualità: “cambiare il premier è sacrosanto, ma non basta”. Ci vuole una cultura della crescita e della concorrenza. Liberalizzare drasticamente il mercato del lavoro, allungare l’età pensionabile, liberalizzare i servizi sembrano chimere ma sono tappe decisive.

 
Roger Abravanel, guru della consulenza aziendale di fama internazionale (è stato a lungo il direttore di McKinsey in Italia) e saggista di successo, è diventato pessimista. “Ormai il double dip è alle porte in tutto il mondo e l’Italia rischia di diventare il malato del mondo”. L’orizzonte è fosco ed è inutile farsi illusioni. Cambiare il premier è giusto, ma non basta. A suo giudizio, austerità e crescita non sono incompatibili ma ci vorrebbe una cultura della crescita della concorrenza che non abbiamo. Eppure tre grandi riforme ci farebbero svoltare: mercato del lavoro, pensioni, liberalizzazione dei servizi. Abravanel spiega il suo punto di vista in questa intervista a FIRSTonline.
 
FIRSTonline – Ingegner Abravanel, quello che sta avvenendo in Grecia dimostra quanto sia difficile coniugare austerità e crescita: un piano di austerity impressionante sta provocando una contrazione violenta del PIL, con la conseguenza che le entrate fiscali si riducono e il deficit aumenta. Più austerità, meno crescita, più deficit, più austerità in una spirale perversa che porta alla rovina. Ma allora austerity e sviluppo sono incompatibili?

ABRAVANEL – Non sono incompatibili, ma sono decisamente difficili da coniugare, come dimostra la storia di numerosi risanamenti pubblici. Mettere a posto i conti dello Stato normalmente richiede, a breve termine, aumento di tasse e taglio di costi e investimenti pubblici, il che inevitabilmente influisce sui consumi. La componente psicologica conta anche molto, perchè se la gente pensa che il futuro è nero non spende e le aziende non investono. La chiave consiste nel avere austerità ma nel contempo mettere a punto programmi credibili di crescita che diano fiducia nel futuro. Se ciò non avviene la spirale maledetta strangola l’economia: austerità- contrazione economica- meno introiti fiscali- maggiore austerità e via dicendo.

FIRSTonline – Questo vale anche per l’Italia? Si può realmente pensare di conciliare l’austerità e la crescita, facendo leva sulle riforme a costo zero?

ABRAVANEL – La situazione italiana è unica nel suo genere, perché noi non cresciamo da almeno 10 anni e questo non dipende dalla austerità, perché il nostro debito è altissimo da sempre. La nostra mancata crescita dipende da fattori strutturali e da una diffusa mancanza di cultura della crescita.

FIRSTonline – Come se ne esce?

ABRAVANEL – Ormai il double dip è alle porte in tutto il mondo, perché stanno rallentando i BRICs che sono stati l’unica area di vera crescita da quando è cominciata la crisi della finanza mondiale. Il loro rallentamento porta al rallentamento delle economie che esportano come quella tedesca, quella giapponese e la nostra. Quella USA sta rallentando perché il deleveraging delle famiglie indebitate con i mutui non è compensata dalla creazione di posti di lavoro. I politici stentano a mettersi d’accordo sul cosa fare ed è per questo che tutti parlano di un secondo 1929. Lo scenario più probabile è una crisi molto lunga che renderà molto più poveri i cittadini delle economie occidentali e più ricchi quelli di quelle emergenti , anche se a ritmo inferiore degli ultimi anni. Quello catastrofico, che tutti vogliono evitare è un fallimento di grandi banche e di alcuni stati. Purtroppo, l’Italia gioca un ruolo essenziale, perché i nostri mali possono causare il fallimento dell’euro e conseguentemente la catastrofe mondiale. Nel 2006 siamo stati definiti “il malato d’Europa” dall’Economist  ma adesso rischiamo di diventare “il malato del mondo”. Eppure quando parlo in giro non mi sembra che la gente si renda conto che questa crisi è diversa dalle altre e tutti pensano che cambiare il primo ministro (cosa peraltro sacrosanta), risolverebbe tutti i problemi.

FIRSTonline – E allora per sbloccare un’economia che non cresce da molto tempo, che ha una spesa previdenziale molto alta e un’evasione fiscale da record che cosa bisognerebbe fare, secondo Lei?

ABRAVANEL – In questi giorni tutti parlano di crescita, io ne ho parlato in tempi non sospetti nel 2008, con il lancio del mio secondo saggio “Regole” ( di cui do in beneficienza i ricavi). Noi possiamo fare molte cose che possono fare ripartire l’economia e che non possono fare gli USA: 1) liberalizzare drasticamente il mercato del lavoro, creando un sussidio di disoccupazione per i giovani che lo perdono, 2) allungare l’età pensionabile che, oltre a tagliare i costi, aumenta il Pil perché chi oggi va in pensione  a 60 anni continuerebbe a lavorare e a pagare le tasse; 3) creare nuove regole per liberalizzare i servizi  sia di mercato (taxi, farmacie, commercio, RC Auto) che non ( trasporti locali, acqua, rifiuti, distribuzione elettrica).

FIRSTonline – Sembrano riforme logiche, perchè non si fanno?

ABRAVANEL – Il problema è la mancanza di cultura di libertà economica e della concorrenza che da noi continua a proteggere chi è piccolo e a incentivarlo a restare piccolo. L’articolo 18 incentiva a restare sotto i 15 dipendenti perché  sopra non puoi licenziare. L’evasione fiscale di milioni di piccole società è tollerata “perché sennò fallirebbero”.  Gli automobilisti che frodano le  società di assicurazione con i colpi di frusta più frequenti del mondo e che sono protetti e non perseguiti sono la causa di un settore assicurativo in Italia tra i meno innovativi del mondo. Liberalizzare vuole dire rispettare le regole in modo che nascano poi quelle giuste. Da noi ciò non avviene, perché la magistratura civile ha i tempi del Gabon, i regolatori non sono bravi, e la scuola non prepara cittadini e lavoratori con le giuste competenze della vita. È un problema di cultura della crescita che, anche volendo, ci vorranno anni, se non decenni, a creare.

FIRSTonline – Purtroppo non avremo tanto tempo: se disgraziatemente la Grecia dovesse dichiarare il default, Nouriel Roubini sostiene che il contagio travolgerebbe anche noi nel giro di tre mesi. Lei come la vede?

ABRAVANEL – Io  sono un ottimista naturale, ma questa volta sono pessimista. Credo che l’Italia rischi di far crollare l’Europa e in parte destabilizzare definitivamente un‘economia mondiale sull’orlo del baratro per le gravi colpe dei suoi politici. Ciò che mi preoccupa però non è tanto il fatto che saremo tutti più poveri e che lasciamo alle nuove generazioni un mondo peggiore. Mi preoccupa il fatto che dopo il ’29 abbiamo avuto il nazismo, il comunismo cinese, l’olocausto e la seconda  guerra mondiale e che abbiamo focolai di guerra un po’ dappertutto, soprattutto alimentati dal fondamentalismo islamico che ha una cultura della morte e non della vita. Mi preoccupano quindi non i milioni di poveri e nuovi poveri, ma i possibili milioni di morti.


Allegati: Profilo di Robert Abravanel.pdf

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