L’Europa torna a bacchettare l’Italia sull’aborto. Nonostante la legge n.194 abbia da poco compiuto 38 anni nel nostro Paese, in base ai dati, non solo è difficile, nelle strutture pubbliche accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, ma per di più i medici che decidono di non rimpinguare l’elevatissima percentuale di obiezione di coscienza esistente a livello nazionale sono costretti ad affrontare moltissime difficoltà nel corso della loro carriera lavorativa.
Ad affermarlo a chiare lettere è il Consiglio d’Europa che, in seguito a un ricorso presentato dalla Cgil, scrive nero su bianco che i medici che non praticano l’obiezione sono spesso soggetti a “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti” andando incontro ad una vera e propria “disparità di trattamento”.
Stupita del giudizio arrivato da Strasburgo Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, secondo cui il Consiglio avrebbe fatto riferimento a dati vecchi, riferiti al 2013. Adesso la situazione sarebbe molto cambiata: “Mi riservo di approfondire con “Dal 2013 a oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e nella relazione che abbiamo presentato al Parlamento recentemente non ci risulta una sfasatura. Ci sono soltanto alcune aziende pubbliche – continua il ministro – che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione. E siamo intervenuti anche richiamando”. Per il ministro “siamo nella norma, anche al di sotto. E non c’è assolutamente lesione del diritto alla salute”.
Eppure lo stesso ministero della Salute racconta una storia diversa. In base ai dati, nel nostro Paese più del 70% dei medici si dichiara obiettore. Secondo le cifre riportate dal Corriere della Sera a livello regionale le percentuali di obiezione sarebbero sempre più alte: 73% in Calabria, 82% in Campania, 86% in Puglia, 87,6% in Sicilia, 80% nel Lazio, 90% in Basilicata, 93,3% in Molise. Eccezion fatta per la Valle D’Aosta (13,3% e per la Sardegna (49,7%), tutte le Regioni di Italia superano abbondantemente il 50%. L’obiezione di struttura (riferita all’intero personale di un ospedale) inoltre sarebbe salita al 35%.
Percentuali che nel 2014, hanno spinto la Corte europea dei diritti umani a condannarci “a causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza l’Italia che viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”.
Due anni dopo è il Consiglio d’Europa a rimproverarci, sottolineando non solo quanto sia difficile per le donne accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche che “in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78″.