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ABCinema: B come Grandi Registi

B come Grandi Registi

Per la lettera B non abbiamo voci di particolare interesse o rilevanza, utili a decifrare, comprendere meglio il cinema nelle sue infinite estensioni. Meritano appena un cenno, al solo fine terminologico, botteghino o box office inteso come metro per valutare il successo e gli incassi di un film. Altro termine interessante è bobina, supporto genericamente di metallo o anche di plastica dove viene avvolta la pellicola. Citiamo dall’Enciclopedia del Cinema di Treccani: “alcuni cineasti la considerano unità di misura non solo temporale ma anche drammaturgica del film, al punto da ritenere che l’attenzione degli spettatori cali intorno alla quinta bobina” dove un rullo ha una lunghezza di circa 11 minuti alla velocità di 24 fps (frames per second) considerata la misura ottimale di scorrimento percettibile dall’occhio umano e largamente utilizzata nel cinema tradizionale.

Ultima notazione, che peraltro si avvicina concettualmente alla parola precedente è Beta, da cui Betacam e Betamax. Con questo termine si indica il formato di nastro video professionale da ½ pollice e sviluppato dalla giapponese Sony a partire dal 1975. Questa tecnologia ha rivoluzionato il mondo della comunicazione audiovisiva ed ha influenzato in modo considerevole tutto il cinema contemporaneo, in particolare per i vantaggi conseguiti sul piano della commercializzazione delle cassette. Il formato Sony era ed è considerato di gran lunga tecnicamente più affidabile, ma per complessi motivi di carattere economico, è stato poco dopo soppiantato dal formato VHS sviluppato dalla JVC.

Per dare spessore a questa parte dell’alfabeto, vi proponiamo una brevissima scheda riassuntiva dei più importanti – a nostro giudizio – registi della storia del cinema internazionale e nazionale con il cognome con la B. Nel primo ambito citiamo Luis Buñuel Portolés, Robert Bresson e Ingmar Bergman; nel secondo Alessandro Blasetti, Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci. La scelta dei nomi è arbitraria ed appartengono ad un secolo passato che non ha quasi più nulla a che vedere con la cinematografia moderna. Non si fa torto a nessuno però quando si afferma che sono tutti pilastri fondamentali per comprendere la professione, la tecnica, i segreti che rendono magico il grande schermo.

Buñuel

Solo tre titoli potrebbero essere sufficienti a ricordare la caratura, la cifra stilistica del grande regista spagnolo: Bella di giorno del 1967, Il fascino discreto della borghesia del 1972 e Quell’oscuro oggetto del desiderio del 1977. Sono tra i suoi ultimi lavori e quindi proprio in queste opere si riassume tutta la sua storia, tutto il suo originalissimo modo di vedere e raccontare la sua modernità, a cavallo di quegli anni che segnavano una svolta politica e culturale di tutto il continente europeo. E proprio in quel clima ha potuto proporre la sua visione del mondo, degli esseri umani, concentrandosi sulla critica al sistema sociale predominante e ai suoi valori, compresi quelli religiosi.

Bresson

Il regista teorico del minimalismo e del pessimismo sul grande schermo. Elabora una sua personale teoria sulla differenza tra cinema e cinematografo dove con il primo si rappresenta una storia, una vicenda, il secondo invece vuole proporre un “sistema” di immagini e suoni realizzato attraverso il montaggio, dove lo spettatore ritrova una dimensione anche non lineare del racconto. Il regista, in questo caso, dirige un complesso di elementi che compongono il film e il suo ruolo si esalta nella capacità di legare gli stessi. Grande attenzione dunque ai particolari, alla colonna sonora, ai dettagli che compongono i suoi lavori che si distinguono proprio per la ricerca verso l’essenziale dell’immagine. Ricordiamo alcuni tra i suoi più noti: Così bella, così dolce del 1969, Lancillotto e Ginevra del 1974 e Il diavolo probabilmente del 1977.

Bergman

Quest’anno ricorre il centenario della sua nascita e sarà giusto ricordarlo come un caposaldo della storia del grande schermo. Il regista svedese non era solo un uomo di cinema, o meglio, ha trovato nel cinema una delle sue modalità narrative più efficaci ma è bene ricordare che è stato anche un grande sperimentatore dei nuovi linguaggi possibili attraverso uno strumento che, intorno agli anni ’60, si palesava come del tutto nuovo: la televisione. È stato ricordato proprio recentemente da Maurizio Porro sul Corriere della Sera, la sua partecipazione ad una specie di gara indetta dalla Rai per la produzione di un soggetto sul Vangelo, mai realizzato. Bergman è stato un artista totale ed concentrato sempre la sua attenzione su un lavoro maniacale nella sceneggiatura che volta per volta ha declinato nel teatro, nel cinema e nella televisione. Capolavori assoluti da ricordare: Il settimo sigillo del 1957, Scene da un matrimonio del 1973 e Fanny e Alexander del 1982.

Blasetti

Citiamo Tullio Kezich: “Blasetti è stato il padre fondatore del moderno cinema italiano”. Per molti aspetti si può convenire: è stato un pioniere in Italia nel dibattito sulla figura del regista, ha sperimentato tra i primi il linguaggio della televisione, è stato tra gli inventori della narrazione ad episodi, ha esplorato mondi – il sesso – quando era difficile parlarne sul grande schermo, e infine ha partecipato alla transizione dal cinema in bianco e nero al colore. Nella prima parte della sua vita è coinvolto attivamente nel fascismo (Nerone con Ettore Petrolini) e, dopo l’8 settembre, si ricicla in una nuova dimensione e diviene artefice della ricostruzione dell’industria cinematografica nazionale (vedi Cinecittà). Meritano di essere ricordati i documentari per la televisione Europa di notte del 1958 e Mondo Cane del 1962.

Bellocchio

Per le nostre generazioni (anni ‘50 e ‘60) Marco Bellocchio è stato una pietra miliare del cinema italiano impegnato. In quel periodo escono film come I pugni in tasca del1965, La Cina è vicina del 1967, Nel nome del padre del 1972 e Sbatti il mostro in prima pagina del 1972. Quest’ultimo film anticiperà di molti anni il dibattito, tuttora in corso, sugli intrecci talvolta perversi tra politica e informazione. Leone d’oro alla carriera nel 2011, allievo di Andrea Camilleri, all’inizio è stato attivo militante di sinistra per poi passare a posizioni più moderate con i radicali. Del suo ultimo periodo merita la citazione Bella addormentata del 2012, dove affronta il tema delicatissimo e drammaticissimo del fine vita, raccontando gli ultimi giorni di Eluana Englaro.

Bertolucci

Grandissimo amico di Pier Paolo Pasolini, esordisce come suo aiuto regista in Accattone del 1961. La grande notorietà internazionale arriva nel 1972 con Ultimo tango a Parigi, condannato al rogo nel 1976 e finalmente riabilitato nel 1987. È considerato il film nella storia del cinema italiano che ha avuto il maggior successo al botteghino, con oltre 15 milioni di spettatori. Bertolucci vanta pure di essere l’unico italiano ad aver vinto l’Oscar per la regia con L’ultimo imperatore del 1987. Colleziona successi internazionali come Novecento del 1976, La luna del 1979, La tragedia di un uomo ridicolo del 1981, Il tè nel deserto del 1990, Piccolo Buddha del 1993. Segnaliamo The Dreamers – I sognatori del 2003, forse non uno dei suoi lavori migliori, ma certamente tra i suoi ultimi impegni dove riassume tutta la sua capacità, creatività ed originalità cinematografica (la pellicola contiene infiniti richiami ad altri film più o meno noti).

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