Bersani, Casini e Vendola hanno messo le carte in tavola, prefigurando, più che un’alleanza, una possibile convergenza, per dare dopo le elezioni un governo politico al nostro Paese. Una convergenza e non un’alleanza a priori, dunque. I tre su un punto sembrano d’accordo: il Pd e Sel cercheranno di allargare il campo dei progressisti, l’Udc di rafforzare e riorganizzare il campo dei moderati. Poi, dopo il voto di aprile, si cercherà la convergenza per formare maggioranza e governo. Programma vasto nel merito, ma ineccepibile dal punto di vista organizzativo.
Al momento quello che potrebbe avere i maggiori problemi è proprio Vendola. All’interno di Sel non mancano resistenze, anche psicologiche, all’idea di un’alleanza di governo con il centro. Ma i governi e le maggioranze si fanno anche con i numeri. E Vendola Bersani e Casini hanno sufficiente esperienza politica per saperlo e tenerne conto. Così, dinanzi alle proteste di parte della base del suo partito, manifestatesi sulla rete, subito dopo la notizia della possibile convergenza, Vendola ha reagito ponendo a Casini la condizione di mettere da parte tentazioni neoliberiste. Condizione tutt’altro che irrealizzabile, dal momento che il mondo dei cattolico-democratici (vuoi con la Dc che con l’Udc) non è mai sembrato particolarmente sensibile nei confronti del tatcherismo e del bushismo di casa nostra.
A loro volta Bersani e Casini si sono divisi i rispettivi campi d’azione: il primo si preoccuperà del campo progressista, il secondo di quello di rimettere insieme i moderati, dopo il fallimento del berlusconismo. Insomma Il Pd cercherà l’alleanza con Sel (e i modi dipenderanno in gran parte da come sarà la nuova legge elettorale), l’Udc di recuperare quell’elettorato centrista che, (come ci riferiscono molti sondaggi) non è più attratto da quel che resta del Pdl.
Proprio Casini ha spiegato in un’intervista al Corriere della sera, ha tenuto a ricordare: “da tempo in Europa sostengo la collaborazione delle grandi famiglie socialista riformista e popolare europeista. Un campo quest’ultimo (dei popolari europei) nel quale Berlusconi si è sempre trovato a disagio come dimostrano anche recenti episodi, anche in occasione di vertici con tedeschi e francesi, Motivo per il quale Casini ha veramente poco da temere da chi, come qualche esponente del Pdl, minaccia di chiederne la messa ai margini nel Ppe. A sua volta Bersani, in un’altra intervista, ha spiegato che “dopo Monti non è più il momento di larghe intese”, e che la possibile convergenza con i moderati può riportare la politica alla guida del Paese.
Ora, nei prossimi mesi, vedremo, in costanza del governo tecnico, se Casini Bersani e Vendola riusciranno a fare quello che (all’inizio degli anni 60 all’indomani della tragica esperienza del governo Tambroni) riuscì alla Dc di Moro e Fanfani, al Psi di Nenni, e al Psdi e al Pri di Saragat e La Malfa: cerare le condizioni per una maggioranza di centro-sinistra. Certo, le condizioni politiche di contorno sono molto diverse. Ci sono molti problemi in meno di politica internazionale. Non ci sono più nè il Pci nè il patto di Varsavia. E questo certamente facilita le cose. Ma al tempo stesso c’è la crisi economico-finanziaria e le riforme da fare riguarderanno, oltre alla riduzione delle diseguaglianze, anche contenimento dei costi e della spesa pubblica, proprio per non mandare a gambe all’aria quel risanamento chiestoci dall’Europa, e che il governo Monti ha concretamente avviato e continuerà a portare avanti sino alla scadenza elettorale.
E qui si pone un problema politico non da poco per l’ipotetica maggioranza di centro-sinistra. Essa non dovrà assolutamente rappresentare una soluzione di continuità dalla strada con la quale il governo tecnico ha dovuto rassicurare l’Europa. Sarebbe certamente di grande impatto e significato politico, se, come ha scritto su questa testata, Franco Locatelli, nell’ipotetico governo Bersani, potesse collocarsi all’Economia, il senatore avita Mario Monti. In fondo qualcosa di simile è avvenuta con Carlo Azeglio Ciampi. Il quale, dopo essere stato presidente del Consiglio e prima di diventare presidente della Repubblica, svolse una parte decisiva, come ministro del Tesoro del governo di centro-sinistra di Prodi, per portare l’Italia nella moneta unica europea. Una storia che fece bene all’Italia e che potrebbe ripetersi.