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A morte il diesel? Attenti agli errori di manovra

FIRSTonline - Federico Rendina

La giunta a Cinque Stelle di Roma ne ha fatto una bandiera, ma la promessa (o la minaccia, secondo qualcuno) serpeggia in tutta Europa partendo dalle grandi capitali. Davvero il motore diesel dovrà morire in nome dell’ambiente? Alle certezze di qualcuno si oppongono i dubbi di altri che dipingono persino uno scenario da effetto boomerang: se la sentenza di colpevolezza e di doverosa morte dei motori diesel per l’autotrasporto appare decisamente irrealistica o quantomeno velleitaria, anche una manovra per strozzarne il ricorso nella mobilità privata partendo dalle grandi città potrebbe avere effetti perfino contrari ai buoni propositi ambientali, oltre a creare evidenti sconquassi economici alla filiera industriale che proprio in Italia viene vede proprio nel motore diesel più di un primato mondiale. L’ultimo altolà questo senso, piuttosto autorevole, viene dal portale di informazione RiEnergia, nato dalla collaborazione tra l’istituto RIE e gli analisti della Staffetta Petrolifera. In un dossier appena pubblicato RiEnergia raccoglie alcuni interventi qualificati, alcuni un po’ di parte ma altri assai meno.

NEUTRALITA’ CERCASI

Problema di corretta valutazione degli inquinanti, ma anche problema di metodo, incalza con qualche oggettiva ragione l’economista Carlo Stagnaro che si è appena guadagnato qualche gallone aggiuntivo come consulente del ministero dello Sviluppo economico. Stagnaro mette il dito su una piaga evidente. Quando si annunciano manovre coercitive prendendosi la con su una specifica tecnologia anziché focalizzandosi innanzitutto su male da curare si fa un errore che governanti, amministratori, tecnici, scienziati, non dovrebbero mai fare. Guai – ammonisce Stagnaro – ad abbandonare il principio cardine della neutralità tecnologica. Quella che, tanto per essere chiari, dovrebbe banalmente fissare in questo caso specifico un limite di emissione su una rosa di inquinanti ben individuata lasciando libera l’industria, e con essa la scienza, di risolvere il problema come meglio è capace. Allestendo semmai (questa la responsabilità prima degli amministratori) un valido sistema di verifica, di controllo e di sanzione.

Il caso del gruppo Volkswagen che avrebbe barato sulla misura delle emissioni dei diesel? Episodio gravissimo, senza dubbio. Ma il colpevole non deve essere individuato pregiudizialmente nel diesel, piuttosto nell’industria che ha eventualmente taroccato le misure. Perché qualcuno o qualcosa magari lo ha consentito.  La sentenza di morte emessa proprio del tribunale federale tedesco di Lipsia, quella che ha innescato la caccia alle streghe vestite da  diesel e non da oggettivi inquinatori, va dunque accolta con qualche doverosa obiezione.

TUTELA DEL CONSUMATORE

“L’obiettivo – taglia corto Stagnaro – non dovrebbe essere quello di promuovere o condannare specifiche tecnologie, ma di favorire una gara virtuosa verso la riduzione degli impatti ambientali. La creatività del mercato può insomma offrire una risposta plurale e più efficace rispetto al catechismo della burocrazia. La neutralità tecnologica non è solo un’aspirazione teorica, ma trova fondamento nei dati. Con un parco circolante nazionale composto per oltre il 45% da autovetture di categoria da Euro0 a Euro4 su un totale di più 37 milioni e con una età media per vettura di 10 anni, va posto come prioritario l’obiettivo di sostituire le tecnologie vecchie con quelle nuove, siano essere benzina, diesel, GPL, metano, elettriche o ibride. Un veicolo Euro6, per esempio, ha emissioni di NOx (ossidi di azoto) del 98% inferiori a quelle di un mezzo di qualche decennio fa. Così facendo, peraltro, si tutela il consumatore e la sua libertà di scegliere l’offerta tecnologica più soddisfacente, in grado di massimizzare il ritorno in termini di costi-benefici, inclusi i benefici ambientali”. E comunque – incalza Stagnaro – “proprio le motorizzazioni diesel hanno basse emissioni di gas climalteranti” (Co2 ma anche altro)  anche se rispetto ai motori a benzina hanno qualche problema in più con gli ossidi di azoto e particolato, “due inquinanti atmosferici locali”.

LA DIFESA DEI PETROLIERI

Problemi con gli inquinanti “locali” che però sono virtualmente superati, garantisce Franco Del Manso, stratega dell’Unione petrolifera e dunque in odore di partigianeria. “I motori diesel di ultima generazione – afferma Del Manso – presentano emissioni dei principali inquinanti (PM e NOx) ormai prossime allo zero, grazie alla combinazione di carburanti a bassissimo contenuto di zolfo, tecnologie motoristiche avanzate e sofisticati sistemi di abbattimento delle emissioni”. Tant’è che il diesel “è senza discussione il motore a combustione interna più efficiente sul mercato e rappresenta l’elemento fondamentale su cui stanno ancora puntando le case automobilistiche per riuscire a rispettare gli obblighi sulle emissioni di CO2 per le auto previsti dal 2020, pari a 95 grammi per chilometro come valore medio per le auto di nuova immatricolazione”. Di più: “l’eliminazione del diesel dal trasporto leggero comporterebbe difficoltà insormontabili per i costruttori per raggiungere tale obiettivo. La sostituzione con motorizzazioni a benzina non farebbe altro che peggiorare la media, mentre ipotizzare che il ricorso all’auto elettrica possa compensare il mancato contributo del diesel non appare realistico visti i numeri in gioco. Dunque, a parità di domanda di mobilità, vietare i veicoli diesel farebbe aumentare le emissioni di CO2” azzarda Del Manso.

GIA’ ALLE STRETTE

Torti o ragioni, tesi e controtesi. Sta di fatto che la flessione del diesel è ormai conclamata in tutta Europa. Ce lo ricorda, sempre nel dossier di RiEnergia, Felipe Munoz, analista automotive di Jato Dynamics: 6,77 milioni di immatricolazioni nel 2017, il 7,9% in meno del 2016, il volume più basso dal 2013, quando l’economia europea era nel pieno della recessione. E “se guardiamo all’andamento delle quote di mercato i risultati appaiono ancor più drammatici”.

Nel 2017, a fronte di una crescita del mercato europeo del 3,1% con 15,6 milioni di auto vendute, le auto a diesel hanno coperto il 43,8% delle immatricolazioni totali, “la quota più bassa dal 2003 quando con un peso del 43,4% si apprestavano a decollare, ponendosi come interessante alternativa alla benzina”. Uno scenario che accomuna, anche se con qualche differenza, tutti i paesi europei. Al dietro-front del diesel fa eccezione solo la Lettonia, passata dal 42,9% del 2016 al 43,2% dell’anno seguente. E negli altri 25 mercati analizzati anche paesi come il Portogallo o l’Italia, dove il diesel ha tradizionalmente giocato un ruolo chiave, hanno registrato un declino nell’ultimo biennio, con veri crolli in Lussemburgo, Grecia e Spagna. E così “quello che una volta era il carburante preferito dagli europei sta lentamente sparendo dalle strade di alcuni mercati chiave”.

ELETTRICO A PICCOLI PASSI

Il futuro? Non c’è dubbio che aspettando la soluzione dei problemi dell’auto tutta elettrica sul fronte tecnico (capacità e dunque intensità energetica e costo delle batterie) e infrastrutturale (stazioni di  ricarica) , la transizione stia puntando molto sull’auto ibrida e “mild hybrid” (un mini motore elettrico che sostituisce il motorino d’avviamento accoppiato con una batteria potente di quella consueta contribuisce e non sostituisce il motore a scoppio). Qualche ottimo esempio già circola. Mercedes, Audi ma anche i giapponesi della Suzuki ci credono molto. E sono decin  i nuovi modelli mild-hybrid annunciati, tipicamente con piccoli e leggeri sistemi elettrici a 48 volt che ben si integrano con gli schemi meccanici tradizionali. Il risparmio di carburante può superare il 10% e l’aiuto al contenimento delle emissioni potrebbe essere utile, se non decisivo, per il rispetto dei limiti sempre più stringenti messi in campo dall’Unione europea.

Sull’elettrico l’Italia non sembra messa male. Da noi – ci ricorda Antonio Sileo (IEFE-Bocconi) – le auto ibride “si vendono piuttosto bene con significativi tassi di crescita: nel 2017 hanno messo a segno un notevolissimo +71% e nel primo quadrimestre 2018 si sono attestate al +37,8%. Una buona performance, anche perché le auto ibride, a differenza di quelle elettriche (neanche lo 0,16% delle vendite totali), non sono delle mosche bianchissime, avendo una fetta di mercato del 3,8%. Stanno andando così bene che nel 2017, come immatricolazioni annue, hanno superato quelle a metano (che negli ultimi mesi è in grande ripresa) e sono sempre meno distanti dalle vendite di automobili alimentate a GPL che, con un peso pari al 6%, del totale sono ancora le incontrastate leader delle alimentazioni alternative. Tuttavia, almeno dal punto di vista matematico, sarebbe più corretto chiamarle complementari, visto che le vendite di auto nuove che per muoversi usano soltanto un motore – peraltro sempre più efficiente e quindi ecologico – diesel o a benzina, superano infatti l’87%, con le prime che da sole rappresentano più della metà delle immatricolazioni totali”.

Conclusioni? Il messaggio per i nostri governanti è comunque chiaro: bisogna recuperare con serietà il principio, professato da tutti ma applicato con molte lacune, della neutralità tecnologica, garantendo alla scienza e all’industria la necessaria libertà nelle scelte per raggiungere gli obiettivi prefissati. Dedicando comunque un’attenzione speciale, anche a suon di incentivi sia normativi che economici, al progresso della “filiera” della mobilità elettrica come tecnologia non solo alternativa ma anche complementare (ibrido). Solo così le città, e i polmoni, ringrazieranno davvero.

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