È una festa che si perde nel tempo, quella celebrata dai contadini di Mirano, a due passi da Venezia per festeggiare la chiusura dell’anno agrario. In questi giorni l’oca è al massimo del suo sviluppo, bella piena anche suo prezioso grasso che insaporisce le carni. In un’epoca i proprietari terrieri di Mirano erano in gran parte ebrei e non potevano mangiare maiale, l’oca divenne pertanto la regina, non solo del cortile, ma anche della tavola.
Quella tradizione è stata ripresa dalla Pro Loco che l’ha trasformata in una festa per cui arrivano da tutto il Veneto per gustare le famose preparazioni a base di Oca. Ma la Pro Loco ha fatto anche qualcosa di più. Ha recuperato anche l’antico “Zogo” dell’oca che si giocava in piazza.
E così sabato e domenica chi vuole andare a Mirano potrà gustare tutte le specialità della cucina locale a base di oca come risotto, ravioli o salsiccia d’oca, perché secondo un detto miranese “Chi no magna l’oca a San Martin no fa el beco de un quatrin”! ma potrà anche assistere al gigantesco gioco in piazza dove sono state realizzate 63 grandi caselle di due metri per due, per cui con dadi e pedine giganti si sfideranno le squadre di tutte le fazioni di Mirano.
«Non vedevamo l’ora di tornare ad animare la nostra piazza – ha dichiarato la Sindaca Maria Rosa Pavanello – e di dare continuità a questa tradizione, di tornare a quella che vorremmo fosse sempre la normalità. In questi anni di stop, però, l’organizzazione e i volontari non si sono mai fermati e hanno lavorato per aggiungere delle novità. Li voglio ringraziare perché non hanno mai perso questa voglia e il loro spirito di squadra».
Il Presidente della Pro Loco Roberto Gallorini ha raccontato le sorprese in programma: domenica per pranzo sarà lo chef Germano Pontoni a cucinare il risotto d’oca in piazzetta Errera. In Villa Giustinian Morosini “XXV Aprile” fino al 14 novembre sarà aperta la mostra “Un’immagine per l’oca d’oro”, con le opere di 15 artisti dell’associazione ARTEPIU’ che hanno partecipato al concorso. L’opera vincitrice, realizzata da Annamaria Salvadori, è stata impressa nel piatto dell’Oca d’oro, premio che sarà consegnato alla squadra vincitrice del Zogo.
Il gioco, la ricostruzione storica, l’enogastronomia tipica affondano le radici nella tradizione, che vedeva in quel periodo dell’anno la carne del pennuto diventare così grassa e tenera da sciogliersi in bocca.
Tutte le informazioni nel sito della Pro Loco di Mirano: http://www.prolocomirano.it/gioco_oca_mirano.asp
Sempre per rimanere in argomento con un approccio più storiografico c’è un ebook dal titolo “Perché sul Montello si producono da un secolo e mezzo vini rossi di taglio bordolese? E perché qui è tradizione mangiare l’oca l’11 novembre, giorno dedicato al culto di san Martino?” A queste e ad altre domande risponde l’ebook redatto dal giornalista enogastronomico Angelo Peretti e disponibile gratuitamente sul sito vinimontello.it, Il motivo per cui la zona di produzione dei Vini del Montello, piccola e affascinante area ai piedi del monte Grappa e delle Dolomiti venete, possa di fatto definirsi a pieno titolo una enclave bordolese in provincia di Treviso deriva da usanze celtiche che uniscono queste zone del Veneto alla Francia. Anticamente in Veneto l’oca veniva allevata come animale da cortile e consumata tra l’11 e il 25 novembre (santa Caterina), periodo dedicato al culto dei morti.
I giorni compresi tra queste due date coincidono con il Samuin, ricorrenza celtica in cui si venerava il messaggero dell’altro Mondo, un cavaliere straordinariamente somigliante al san Martino cristiano, che, come animale simbolo, aveva proprio l’oca. L’immagine tramandata del vescovo di Tours, anch’esso con un’oca sempre accanto e al quale sono dedicati numerose chiese e oratori nel territorio del Montello, altro non sarebbe quindi che la trasposizione del dio della morte pagano.
Nella zona di produzione del Montello docg e Montello Asolo doc, un luogo che ha straordinarie testimonianze di remoti culti celtici, si fanno dei vini rossi con le uve francesi provenienti da un’altra area, Bordeaux, di radicata tradizione celtica. Qui i vitigni bordolesi (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Carmenère), arrivati in terra veneta a metà dell’Ottocento, hanno trovato un terreno particolarmente fertile, anche culturalmente. Le colline composte da rocce conglomerate tra di loro e ricoperte da suolo marnoso-argilloso o marnoso-sabbioso dalla tipica colorazione rossa, assieme a un clima temperato e alla circolazione idrica sotterranea, hanno permesso ai vitigni bordolesi di acclimatarsi in queste terre.
Grazie anche alle componenti ferrose del suolo che conferiscono struttura e alla roccia arenaria che conferisce mineralità, i Vini del Montello assumono una loro identità ben precisa, fatta di territorialità e di potenza.
La pubblicazione racconta lo sviluppo di questa realtà enogastronomica locale, illustrandolo attraverso numerosi aneddoti della tradizione popolare e curiose citazioni letterarie, dimostrando così come il territorio dei Vini del Montello sia testimone del rapporto che lega vino, cibo e sacralità presente in tutte le culture.