Anche la Fiat, come la maggior parte delle imprese italiane, ritiene che l’unica via di uscita dalla crisi consista nel rilancio dell’export, e lo ha ribadito nell’incontro di venerdì con il governo. Non a caso, il comunicato congiunto emesso alla fine dell’incontro (a dire il vero piuttosto generico), finisce con l’unico impegno effettivo preso dalle parti: “In particolare, un apposito gruppo di lavoro sarà costituito presso il MISE per individuare gli strumenti per rafforzare ulteriormente le strategie di export del settore automotive.”
Dietro questa frase qualcuno – poco informato – ha letto la ripresa di incentivazioni dirette verso l’export di automobili. Non è così, per due motivi. Il primo è che l’accordo di Consensus (l’accordo informale dei paesi Ocse che detta le regole del gioco nell’intervento di sostegno pubblico, assicurativo e finanziario, nei confronti dei crediti all’esportazione con dilazione di pagamento dai due anni in su) non lo prevede: infatti gli incentivi (contributi in conto interessi, in altri termini una diminuzione dei costi per lo smobilizzo dei crediti export) non possono essere concessi per beni di consumo durevole, come le automobili, ma soltanto per le vendite di beni strumentali (macchinari e beni industriali) e di impianti completi.
Queste regole valgono per tutti i paesi Ocse, e certamente nessuno in Italia, a cominciare da Monti e Passera, intende infrangerle. Immaginate cosa direbbero gli altri paesi produttori di automobili se l’Italia da sola aiutasse la sua industria automotive con contributi e incentivi non previsti e non reciprocabili. Il secondo è che il governo stesso ha appena finito di diminuirli, questi incentivi, di fatto tagliando i fondi con i quali l’ente a questo scopo dedicato – la Simest – può concederli a fronte di operazioni di finanziamenti all’esportazione. Tornare indietro su questo piano non è possibile, a meno che non si voglia allargare i contributi agli interessi ad altre categorie di operazioni, e soprattutto a tutti gli esportatori, il che aumenterebbe non poco il costo a carico dello Stato e si scontrerebbe con il problema, sopra accennato, delle regole fissate a livello internazionale
Quali altre forme potrebbe allora assumere il “rafforzamento delle strategie di export del settore automotive”? Una forma fiscale, ad esempio, potrebbe prevedere forme di detassazione specifiche per le esportazioni del settore auto: ma non è facile capire quali, ne è facile capire perché debbano applicarsi solo a tale settore. Più credibile invece è un’agevolazione di carattere finanziario, una sorta di facilitazione nell’accesso al credito. Penso a due strumenti. Uno esiste già, ed è la garanzia finanziaria per l’internazionalizzazione, legata ad un piano di investimenti che garantisca almeno una parte di nuove esportazioni (10-20%). La garanzia è concessa da Sace ad una banca che eroga un finanziamento a 5 anni all’azienda prescelta, finanziamento che occupa solo in parte le linee di credito della banca, appunto in virtù della garanzia Sace che ne abbassa il rischio. Per questa soluzione tuttavia ci vuole un piano di investimenti in Italia, e pare che al momento la Fiat non sia intenzionata ad impegnarsi in tal senso.
Il secondo strumento invece non c’è, ma ci si può arrivare. Si tratterebbe di uno smobilizzo pro soluto delle vendite all’estero con brevi dilazioni di pagamento (90-120 giorni); nel caso della Fiat si tratterebbe di vendite a concessionari di paesi extra UE. Questo sconto di crediti export avrebbe due risultati: il primo è quello di diminuire il rischio di credito dell’esportatore, il secondo è quello di procurargli la liquidità necessaria per continuare la produzione senza appesantire le sue linee di credito. Ci sono dei problemi legali e tecnici per questo strumento, che però con un’analisi dettagliata – e con un po’ di buona volontà – possono essere superati. L’importante è che all’ideazione di un intervento del genere non partecipino solo i diretti interessati, ma anche Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Abi, e le assicurazioni private del rischio di credito commerciale.
Il compito che attende il gruppo di lavoro che si costituirà già questa settimana presso il Mise non è facile, ma è di vitale importanza per il paese: perché, oltre a risolvere la situazione della Fiat, le idee e le strumentazioni scaturite da questa analisi potranno essere applicate a tutte le aziende esportatrici, risolvendo un vuoto – soprattutto in tema di accesso al credito – che tutti lamentano da qualche anno a questa parte.