Dopo una settimana di passione, Renata Polverini ha finalmente deciso: da domani non sarà più lei il presidente della Regione Lazio. Sull’onda dello scandalo degli oceanici fondi regionali dilapidati dai consiglieri del Pdl per scopi personali, la governatrice è stata costretta a rassegnare le sue dimissioni “irrevocabili”. Con lei – a norma di Statuto – cadono anche gli assessori e i membri del Consiglio regionale, rendendo necessarie nuove elezioni.
Nel discorso di commiato, Polverini ha presentato se stessa e la propria giunta come vittime del malgoverno altrui, prendendo le distanze dai pidielinni che per due anni e mezzo l’hanno sostenuta.
“Arriviamo qui puliti – ha detto in conferenza stampa -. La giunta ha operato bene e ha portato risultati importanti. Interrompiamo la nostra azione a causa di un Consiglio che non considero più degno di rappresentare una regione importante come il Lazio. Questi signori li mando a casa io, senza aspettare ulteriori sceneggiate: con questi malfattori io non ho nulla a che fare“.
Quanto alle colpe dei consiglieri Pdl, Polverini sostiene di non aver “mai immaginato che con quelle ingenti risorse tutti, nessuno escluso, facessero spese sconsiderate ed esose. Questa storia nasce da una faida interna al Pdl, che non consegnò la lista alle elezioni e che ci ha consegnato un dibattito interno, oltretutto con personaggi ameni che si aggiravano per l’Europa. Sono inorridita da quanto avvenuto in Consiglio regionale, prendetevela con il signor Mario Abbruzzese (il presidente dell’assemblea, ndr)”.
Perché allora non ha rassegnato subito le dimissioni? “Ho aspettato oggi anche per vedere le falsità dell’opposizione – ha spiegato l’ormai ex governatrice -. Oggi potevano consegnare le loro dimissioni al segretario generale della Regione Lazio: né Pd, né Idv, né Sel lo hanno fatto, ma hanno tentato di scaricare le responsabilità sulla giunta”.
La settimana scorsa, tuttavia, il punto di vista di Polverini sembrava assai diverso: “Se approvano i tagli in Consiglio, resto – aveva detto in relazione al piano per la riduzione della spesa da lei stessa presentato dopo lo scoppio dello scandalo -. Se il Consiglio dimostra, e sono sicura che farà così, che c’è la consapevolezza di poter andare avanti malgrado ciò che ho definito una catastrofe politica ancora da superare, saremo in grado di trasformare in questi due anni e mezzo questa Regione”.
In quelle stesse ore sembrava che il pressing di Silvio Berlusconi, terrorizzato da un effetto domino del Lazio sulla Lombardia, fosse andato a buon fine. Oggi però è arrivato l’affondo del numero uno dell’Udc, partito che fin qui ha sostenuto insieme al Pdl la giunta Polverini: “Dopo il marcio che è emerso, con la cupola che è venuta fuori, qualcosa di schifoso, bisogna restituire la parola ai cittadini – ha detto Pier Ferdinando Casini -. Io mi auguro che il presidente Polverini faccia un gesto di dignità e ridia la parola ai cittadini laziali”.
Il leader centrista, che fin qui aveva preferito mediare, è stato probabilmente condizionato a sua volta dalla condanna senza appello del malgoverno laziale arrivata dal cardinale Angelo Bagnasco: “Dalle Regioni sta emergendo un reticolo di corruttele e scandali”, ed è “motivo di rafforzata indignazione che la classe politica continua a sottovalutare”, aveva detto poche ore prima il presidente della Cei.
D’altra parte, l’ex sindacalista Ugl ha spiegato oggi di aver comunicato già ieri la decisione di dimettersi prima al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, poi al premier, Mario Monti, nel corso di due colloqui al Quirinale e a Palazzo Chigi. Oggi pomeriggio l’annuncio è arrivato anche a Casini e ad Alfano.
Nel congedarsi, Polverini ha quindi pronosticato i guai a cui il Lazio va ora incontro: “Con il blocco della mia azione riformatrice – ha avvertito – ci saranno gravi ripercussioni sul Paese: abbiamo fatto 5 miliardi di tagli perché lo volevamo e perché abbiamo avuto come effetto il dimezzamento del disavanzo sanitario portandolo a 700 milioni”.
Infine, sono arrivate le minacce, nemmeno troppo velate: “Adesso mi sento libera, mi sentivo intrappolata come in una gabbia. Da domani ciò che ho visto lo dirò. Le ostriche viaggiavano comodamente già nella giunta prima di me, quindi io non ci sto, non ci sto alle similitudini e nessuno si permetta di dire una parola su me e i miei collaboratori”. Parole che stridono con quel “mai avrei immaginato” pronunciato appena pochi minuti prima.