Ci sono due cose che ogni Italiano pensa di sapere fare meglio di chiunque altro: il Commissario Tecnico della Nazionale e l’Amministratore Delegato della Fiat. Alla prima sconfitta della Nazionale o alla prima avvisaglia di crisi in Fiat i giudizi lapidari sul CT e sull’AD si sprecano e, naturalmente, si sprecano i consigli sul da farsi per porre rimedio ai guasti provocati dai due incompetenti. Perché la Fiat è in crisi? Semplice, la colpa è di Marchionne. Che prima del suo arrivo la Fiat fosse sull’orlo del fallimento, che la fascia di mercato sulla quale tutt’ora Fiat insiste (medio -basso) sia crollata in Europa e nel mondo e che i costi di produzione di quel tipo di prodotto in Italia siano ancora troppo alti non sembra contare nulla.
Marchionne, si dice, è uomo di Finanza e non d’Industria. Ma, a parte il fatto che il significato di questa formula resta assai misterioso, in America di lui pensano esattamente il contrario. E’ certamente vero, come molti dicono, che Fiat non ha investito abbastanza in nuovi modelli. Bisogna però considerare che, a parte i problemi finanziari dell’azienda, si tratta di investimenti il cui ritorno si può avere solo nel medio lungo termine. Nell’immediato però Marchionne ha portato alla Fiat i “nuovi prodotti” che derivano dalla fusione con Crysler.
Non è una cosa da poco. Anche la critica al ritardo nel realizzare il piano di investimenti negli stabilimenti italiani (Fabbrica Italia) andrebbe meglio calibrata. L’andamento del mercato in questo momento è proibitivo. Ciò nonostante a Pomigliano gli investimenti sono stati fatti e oggi lo stabilimento campano è fra i più moderni in Europa. La crisi della Fiat ovviamente c’è e ci sono anche le responsabilità dei suoi manager. Ma pensare che sia sufficiente cambiarli per venirne fuori è una pia illusione che serve soltanto per non misurarsi con la realtà della crisi industriale Italiana.
La crisi della Fiat, infatti, non è molto diversa da quella di altre industrie manifatturiere italiane. I problemi da affrontare sono gli stessi per tutti: bisogna internazionalizzarsi se si vuole competere sul mercato globale; bisogna innovare i processi produttivi ma anche creare nuovi prodotti di maggiore qualità e valore aggiunto; bisogna, infine, elevare la produttività di tutti i fattori (uomini, macchinari e capitale) e quella del paese.
La Fiat, anche grazie a Marchionne, si è mossa con decisione in ciascuna di queste direzioni. Oggi non è più soltanto una grande impresa ma, nel bene e nel male, è una multinazionale. Ha innovato molto il processo produttivo e ha migliorato i propri prodotti tradizionali. Sopratutto ha modificato il sistema delle relazioni industriali. Si può pensare quello che si vuole dello stile dell’uomo ma resta il fatto che è stato il primo dirigente d’industria che ha cercato di passare da un sistema di relazioni industriali fondato sul conflitto ad uno fondato sulla partecipazione e sulla condivisione degli obbiettivi. E’ esattamente quello che si dovrebbe fare in tutte le industrie per tentare di avvicinarci alla co-gestione tedesca che molti invocano ma che pochi in realtà davvero vogliono. Ha infine cercato, una volta dismesso Termini Imerese, di salvaguardare i cinque siti italiani e sino ad ora c’è riuscito.
Fino a quando, però, sarà possibile farlo? E’questo il vero problema che si pone per l’Italia. Dobbiamo invocare una politica comune europea per l’auto come facemmo per la siderurgia e per le fibre? E’ una questione molto controversa, difficile da realizzarsi e forse neppure conveniente. Conviene invece concentrarsi sui fattori di maggiore criticità del processo produttivo che sono: l’innovazione, la produttività e la flessibilità; e fare leva sui punti di maggior forza del nostro automotive che sono: l’indotto di qualità, il know how tecnologico, il design e le capacità ingegneristiche.
Molti oggi, forse per dispetto di Marchionne, invocano l’intervento estero. Chi ieri ostacolò la cessione dell’Alfa alla Ford oggi ne invoca la cessione alla Volkswagen. Può essere che a questo si debba essere costretti. Ma siamo certi che sia questa la cosa giusta da fare? L’Alfa col suo marchio, la sua storia e le sue residue capacità potrebbe invece essere una delle leve per la riqualificazione della Fiat. Prima di buttarla via pensiamoci.