Quarant’anni prima gli americani, dopo aver fatto il pieno di medaglie d’oro nell’atletica leggera, erano sfilati a New York portando al guinzaglio un leone, simbolo dell’impero britannico. Era l’ultimo segno di spregio verso la Gran Bretagna dopo sei mesi di giochi olimpici in cui gli yankees subirono tutti i torti possibili dai giudici tutti inglesi.
Nella Londra che ospita per la seconda volta le Olimpiadi nel 1948 americani di Eisenhower e inglesi di Churchill si presentano più uniti che mai, vincitori della seconda guerra mondiale, gli eroi che hanno liberato il mondo dagli orrori nazisti. Londra porta i segni dei bombardamenti tedeschi, le strade sono macerie, ma c’è l’orgoglio di ricominciare. E la tecnologia, che fino a qualche mese serviva per uccidere, riversata ora per gli usi civili è motivo di ottimismo.
La Bbc cavalca il nuovo: per prima la volta nella storia dei giochi vengono trasmessi in tutta l’Inghilterra dalla televisione. Anche nel rilevamento dei tempi la manualità lascia il posto a cronometri più affidabili con la fotocellula posta all’arrivo collegata alla pistola dello starter. Un grande salto rispetto al 1908 anche se nulla di paragonabile alla tecnologia che la capitale inglese metterà in mostra per la sua terza Olimpiade che comincerà tra pochi giorni. Fa sorridere pensare agli atleti della Nuova Zelanda che nel 1948 impiegarono ben cinque settimane di navigazione per arrivare sul Tamigi. Ma per il mondo quell’Olimpiade, pur fatta in economia, ha un significato che certamente non avrà la miliardaria e supertecnologica Londra 2012. Due Olimpiadi erano saltate per la guerra mondiale.E l’ultima svolta nel 1936 a Berlino era stata una delirante esibizione dell’ideologia nazista e del furore hitleriano, la tragica apoteosi della razza superiore umiliata dalle vittorie di Jessie Owens, un nero americano, l’uomo simbolo di quelle Olimpiadi, sotto gli occhi esterefatti del Fuhrer.
A Londra furono anche le prime Olimpiadi senza il loro fondatore, il Barone Pierre de Coubertin, che era scomparso il 2 settembre 1937. Cinque anni dopo moriva di crepacuore anche il suo successore, il conte De Baillet-Latour. A Londra ’48 partecipano oltre 4.300, un record, in rappresentanza di 59 nazioni. Gli inglesi pur giocando in casa non andranno oltre a tre ori contro i 56 del 1908, ma a vincere questa volta è la loro capacità organizzativa. A far la parte del leone sono gli americani che nell’atletica sono imbattibili: nel decathlon vincono l’oro con Bob Mathias, un ragazzo di 17 anni che aveva cominciato a praticare questa specialità appena quattro mesi prima. Sarà a tutt’oggi il più giovane campione olimpico nella storia dell’atletica maschile.
Come era accaduto dopo la prima guerra mondiale, i paesi aggressori (Germania e Giappone) non sono invitati. Assenti anche l’Unione Sovietica, la Romania, la Bulgaria e il neonato stato di Israele, impegnato fin da subito a difendersi e a far la guerra contro gli arabi.
Sul totale dei partecipanti, 468 sono atlete: tra loro c’è l’olandese Fanny Blanker-Koen che sarà uno dei personaggi simbolo di quei giochi. Vince quattro ori nelle gare di velocità: 100 metri, 80 metri ostacoli, 200 metri e staffetta 4 x 100. La chiamano “la mammina volante” da quando agli Europei di Oslo nel 1946, tra una gara e l’altra, aveva allattato la figlia neonata. Al suo ritorno in Olanda, dopo le Olimpiadi di Londra, avrà persino l’onore di un monumento.
Un altro monumento dell’atletica mondiale, rivelatosi ai giochi londinesi, è Emil Zatopek, ufficiale dell’esercito cecoslovacco, che conquista la medaglia d’argento nei 5.000 metri e trionfa nei 10.000, costringendo al ritiro il primatista mondiale della specialità, il finlandese Viljo Heino. Zatopek entrerà definitivamente nel mito quattro anni più tardi, alle Olimpiadi di Helsinki, dove sbaraglia tutti conquistando tre ori: nei 5.000, nei 10.000 e nella maratona.
L’Italia, la cui partecipazione è stata messa in forse fino all’ultimo per via del suo passato di alleata di Hitler allo scoppio della guerra, sbarca a Londra con 182 atleti. Tornerà con un bottino di otto medaglie d’oro. In quell’Olimpiade nasce il mito del “settebello” con Cesare Rubini che dominerà a lungo la scena della pallanuoto mondiale. Non abbiamo più un personaggio come Dorando Pietri, ma nei 400 metri a ostacoli corre la finale un certo Ottavio Missoni. Arriva sesto.
“Ho perso la finale, ma ho conquistato mia moglie”, dice Missoni, oggi 91enne, ricordando che proprio a Londra incontrò Rosita. Un binomio, felice nella vita e nel lavoro, che è un diventato una della griffe più celebri della moda italiana. Sarà il lancio del disco a dare le soddisfazioni maggiori alla spedizione azzurra: addirittura l’oro e l’argento della competizione, un “double” storico, unico per l’atletica italiana. Memorabile la gara sotto la pioggia. A vincere è un veronese, Adolfo Consolini, un nome tra i più popolari nell’Italia degli anni Cinquanta che si sta avviando verso il boom.
A contendergli il trionfo un altro azzurro, Giuseppe Tosi, che all’Olimpiade si è presentato come detentore del primato europeo, strappato proprio a Consolini. Nel clan azzurro che assapora il trionfo c’è un attimo di angoscia quando un americano, all’ultimo lancio, scaglia il disco a oltre 52 metri, qualche centimetro più in là della misura ottenuta al secondo lancio da “Dolfo”: per fortuna la giuria lo dichiara nullo. Sul podio vanno i due italiani: oro Consolini, argento a Tosi. Sul pennone più alto si alza il tricolore ma l’inno di Mameli non parte. Perché? Gli inglesi, si saprà più tardi, avevano semplicemente smarrito il disco.
Mamma mia quanti luoghi comuni e quante imprecisioni in questo articolo