Si fa presto a perdere la reputazione; per riconquistarla ci vuole tempo e fatica. La reazione cauta dei mercati azionari ed ancor più il pessimismo dimostrato dagli investitori sui titoli del debito di Spagna ed Italia stanno a dimostrare che la saggezza del popolo greco ha evitato l’aprirsi immediato di una voragine sotto i nostri piedi ma, da sola, non basta per far riprendere all’Europa un cammino sicuro verso il riequilibrio finanziario e la crescita dell’economia.
Decisivo sarà il vertice di fine mese a Bruxelles, mentre il G20 in corso in Messico può aiutare i leaders europei a trovare quell’unità di intenti per rafforzare il modello europeo che finora è mancata. Sarebbe il caso di ricordare le parole del Governatore della Banca d’Italia pronunciate il 31 maggio scorso che sono di una chiarezza esemplare: “Al centro della crisi – diceva Visco – vi sono oggi dubbi crescenti da parte degli investitori internazionali (ai quali via via si stanno aggiungendo gli stessi cittadini dei paesi deboli dell’Europa) sulla coesione dei Governi nell’orientare la riforma della governance europea, e sulla capacità di assicurare la tenuta stessa dell’uninione manetaria”. Bisogna quindi fare un passo avanti verso una gestione integrata delle politiche finanziarie e fiscali dei paesi dell’Unione. Magari un passo piccolo, ma che indica chiaramente la direzione nella quale si intende andare. Questo segnale politico, che può partire dall’unione bancaria e da una più stretta vigilanza sui bilanci pubblici, è più importante di una modesta apertura sugli eurobond o sui finanziamenti Bei, che isolati da un contesto di maggiore coesione politica, non potrebbero fugare i timori degli investitori sulla solidità dell’Euro.
In Italia, in particolare, sembra diffondersi sempre più la convinzione che tutti i nostri guai dipendono dalla signora Merkel e che sono i tedeschi, in nome della solidarietà, che devono allargare i cordoni della borsa e finanziare i nostri deficit pubblici. Colpisce che la scorsa settimana durante il dibattito alla Camera sulle dichiarazioni di Monti, nessun leader dei partiti che sorreggono il Governo abbia fatto menzione della necessità di procedere con maggiore determinazione al taglio delle spese pubbliche ed alla riduzione del perimetro dello Stato attraverso la vendita delle società controllate dalla mano pubblica e una drastica semplificazione dei livelli di governo e delle regole burocratiche. Tutti hanno attribuito le colpe della nostra situazione alla Germania e hanno chiesto a gran voce che la Bce intervenga a comprare i nostri Bot. Nel fondo tutti pensano che lo sviluppo possa venire ampliando ancora la spesa pubblica; cosa non solo impossibile ma nemmeno desiderabile perchè un maggiore deficit porterebbe rapidamente ad un aumento dei tassi d’interesse vanificandone gli attesi benefici, che comunque sarebbero modesti considerando la cronica inefficienza della spesa pubblica nel nostro paese. Se le spese dello Stato portassero veramente una crescita, ha detto Monti a Bologna, allora l’Italia con il debito che ha accumulato avrebbe dovuto avere un grande sviluppo, ed invece sono quasi 15 anni che il paese è fermo!
Ma la tentazione di dire che la crisi non è colpa nostra e che noi ben poco possiamo fare per tirarci fuori, è stata confermata dalle dichiarazioni di Alfano sul pacchetto sviluppo approvato venedì scorso.” Non ci sono soldi veri – ha detto Alfano -. Noi abbiamo delle idee che presenteremo nei prossimi giorni”. Ma se davvero il Pdl avesse delle idee buone su come far uscire l’Italia dalla recessione, perchè non le ha dette e soprattutto attuate nel decennio scorso quando è stato per oltre otto anni al Governo? E poi c’è la Lega che nel tentativo disperato di far dimenticare i magri risultati ottenuti si scaglia contro l’Imu dimenticando che queste tasse derivano dal fatto che la stessa Lega ci ha spinto sull’orlo del burrone per essersi opposta sia alla riforma delle pensioni sia, e soprattutto, all’abolizione delle province ed alla vendita delle società controllate dalle amministrazioni locali. Ma anche a sinistra non si va più in là della richiesta allo Stato di aprire il rubinetto della spesa pubblica. Si veda ad esempio la questione degli esodati. Tutti ad insultare il ministro Fornero che invece è stata dura ma ragionevole, individuando un certo numero di persone che effettivamente avevano i requisiti per poter andare in pensione con le vecchie regole. Per tutti gli altri bisogna vedere caso per caso in quale situazione si sono venuti a trovare e se non si possono attivare altre politiche per dar loro un reddito diverso dalla pura e semplice pensione. Pietro Ichino, ancora una volta, indica con saggezza le possibili vie di uscita senza per questo far saltare del tutto la riforma delle pensioni. I sindacati invece giocano al tanto peggio tanto meglio e vogliono far pagare a Fornero soprattutto l’accantonamento del metodo della concertazione, cioè la non accettazione del loro potere di veto, anche a costo di far saltare il Paese.
La demagogia dilaga tanto che si sta creando la pericolosa convinzione che non vale più la pena di seguire la ricetta Monti (certo amara e magari non esente da qualche sbaglio) e si va alla ricerca di soluzioni miracolistiche capaci di alleviare i nostri sacrifici e condurci verso un radioso futuro. I partiti si illudono di intercettare questo sentimento prendendo le distanze dal Governo Monti, ma non capiscono che la gente li ritiene i primi responsabili della situazione e non si lascia ingannare dalle loro sirene, ma casomai si rivolge a Grillo ed a tutti quelli che vogliono fare piazza pulita con tutti i rappresentanti del passato. Giusta aspirazione, ma poi bisogna anche avere qualche idea per costruire un futuro possibile. D’altra parte tutti quellli che accusano Monti di aver perso l’iniziale spinta propulsiva nel fare le riforme, capiscono pure che il Governo è stato sempre più imbrigliato dai veti dei partiti e delle corporazioni, che pensano così di non mettere a rischio il loro ruolo ed il loro potere.
Ora lo stesso Monti sembra si sia convinto che per spezzare l’accerchiamento, deve accelerare il passo verso il taglio della spesa pubblica e soprattutto il ridisegno del ruolo dello Stato che deve ridurre le proprie competenze e fare meglio, molto meglio, quello che deve fare a cominciare dalla Giustizia e dall’ordine pubblico. Ora si annunciano i decreti sulla spending review e quelli sulle privatizzazioni. Qui si tocca l’apparato dei partiti e le tante poltrone occupate dalle loro clientele. Vedremo se cederanno alla tantazione di far saltare il banco, specie se dal vertice europeo di giugno non arriveranno risultati tali da consentirci di continuare a vivere sul debito, senza affrontare i problemi di efficienza del nostro apparato pubblico, unico modo peraltro per arrivare ad una effettiva riduzione delle tasse sia sulle persone che sulle imprese. Questo sì che consentirebbe la crescita, altro che l’allargamento della spesa pubblica! L’avventurismo in politica non paga quasi mai. Le elezioni greche dimostrano che anche in situazioni drammatiche, la maggioranza dei cittadini non si lascia convincere dai demagoghi che magari riempiono le piazze, ma poi farebbero correre alla nazione pericolose avventure.