All’appello mancava solo l’insospettabile Francesco Guidolin, uno che il calcio lo mastica (e lo insegna) da oltre 30 anni, prima da giocatore poi da allenatore. Eppure persino lui, al termine della partita di Catania che ha visto l’Udinese vincente e di conseguenza qualificata ai preliminari della prossima Champions League, ha lanciato segnali di “stanchezza”.
“Penso che avrò bisogno di un riposo lungo, non so se posso permettermi un’altra stagione da 50 e passa partite”, ha detto il compassato allenatore veneto intervistato nel post partita, lasciando intendere di volersi prendere un anno sabbatico.
Il feuilleton dal titolo “Allenatori stressati”, di gran moda da un mese a questa parte, si arricchisce dunque di un nuovo protagonista in un cast già d’eccezione: da Guardiola a Luis Enrique, passando per Delio Rossi, casi diversi fra loro ma accomunati da interrogativo di fondo: dove sta arrivando questo calcio?
Deve infatti esserci qualcosa che non va se neanche i soldi, la fama e (soprattutto nel caso di Pep) le vittorie riescono a portare serenità a persone che vivono in un ambiente che, per quanto 365 giorni l’anno sotto i riflettori, in questi tempi di crisi si può tranquillamente definire privilegiato.
È pur vero che anche gli eroi sono esseri umani, e che obiettivamente la tesi da bar sport “sono lautamente pagati anche per sopportare lo stress, che dovrebbero dire gli operai?” può talvolta assumere connotati un po’ troppo qualunquistici, ma il punto è: come si è arrivati a tanto? Ci sono vere motivazioni dietro o stiamo parlando di capricci?
Vediamo caso per caso. Guardiola ha vinto tutto, ma proprio tutto, forse più di tutto e di tutti in questi quattro anni da allenatore del Barcellona. Obiettivamente quattro anni di rara intensità agonistica e mentale, con oltre 80 partite a stagione e l’etichetta di “squadra più forte del mondo” da confermare settimana dopo settimana. Ce l’ha fatta, ha lasciato il segno, e ora è “stanco”. Più per saturazione che per stress, comunque, visto che è stato sempre ben visto e coccolato da tutti, stampa, tifosi e giocatori.
Di segno completamente opposto l’avventura di Luis Enrique (compagno di squadra di Pep in blaugrana ed ex allenatore del Barcellona B) a Roma, lui sì decisamente stressato da tutte le parti, persino (anzi, soprattutto) dal fuoco amico. Mentre la società infatti lo ha sempre difeso, e la stampa “extra-romana” ha osservato con curiosità e tavolta con simpatia l’esperienza di questo tecnico un po’ supponente ma giovane e innovativo, a mettere la croce sulla sua permanenza nella Capitale è stato il solito vortice di polemiche interne tipico delle peggiori annate giallorosse.
Stressato sì, dunque, ma a differenza di Guardiola per Luis non parlano neanche i risultati: un anonimo settimo posto, addirittura con gli stessi punti del Parma. Ma ovviamente, nel mondo del calcio, c’è sempre la scusa pronta: infortuni, sfortuna, il progetto necessitava di più tempo, e, appunto, troppo stress.
Lo stesso che ha portato Delio Rossi a compiere un gesto mai visto nella storia del calcio italiano. Sembravano immagini pervenute da qualche torneo sudamericano quelle in cui, in preda a non si è ancora ben capito quale raptus, l’ex allenatore di Lazio e Palermo ha violentemente e ripetutamente preso a cazzotti il suo giocatore Adem Ljajic, reo di aver contestato la sostituzione (sacrosanta) appena effettuata. Come è stato possibile un gesto del genere? Paura di retrocedere? La Fiorentina, che pur stava perdendo quella partita (0-2 col Novara, poi finita in parità), era comunque già virtualmente salva. Stanchezza? Ma come, Delio Rossi è diventato allenatore della Viola solo a novembre, subentrando a Mihajlovic.
Forse, se persino un tipo placido come Guidolin si è stufato, vuol dire che il problema è di fondo. Forse, piuttosto che i singoli protagonisti, dovrebbe essere il calcio stesso a prendersi una pausa. Lo hanno capito anche campioni come Del Piero, Inzaghi, Seedorf, Gattuso. L’importante è non prendersi troppo sul serio: vallo a spiegare ai tifosi che ti ritiri o prendi una pausa perchè sei “stanco”.