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La priorità di Monti? Ridurre i tassi: la vera sfida mentre i partiti cominciano a litigare

E’ il passo necessario all’Italia: abbassare i tassi d’interesse e riportare così lo spread con i tedeschi sotto i 100 punti e il tasso di rendimento dei nostri titoli decennali al 2,5- 3% – Molti dei nostri problemi sarebbero risolti: lo Stato risparmierebbe 10-15 miliardi di interessi, le banche tornerebbero in equilibrio e la Borsa riprenderebbe fiato

La priorità di Monti? Ridurre i tassi: la vera sfida mentre i partiti cominciano a litigare

Lo spread è tornato sopra i 400 punti portando quindi il rendimento dei Btp ad oltre il 5,60%. La Merkel ha detto ancora una volta no agli eurobond. La Bce dice che la situazione dell’occupazione è grave ma che l’unico modo per riprendere il cammino della crescita è quello di mantenere i conti pubblici in ordine e fare le riforme strutturali. In Italia, dopo i risultati delle elezioni amministrative, i partiti sono entrati in fibrillazione ed il Pdl ha cominciato a criticare il rigore di Monti, minacciando di staccare presto la spina al Governo per farlo cadere o quantomeno per contestarne in Parlamento le misure più indigeste per i propri elettori. I partiti di sinistra ed i sindacati già da tempo vedevano con sospetto il rigore fiscale tanto che Fassina, il responsabile economico del Pd, più volte ha chiesto di rinegoziare il fiscal compat per avere la possibilità di aumentare la spesa pubblica. I sindacati, poi, non fanno che chiedere nuovi soldi pubblici, rifiutandosi in molti casi di discutere seriamente cosa fare per aumentare la produttività del lavoro. Vendola e Di Pietro, ai quali si aggiunge ora Grillo, da tempo sono contro il risanamento ed invocano una nuova politica di crescita. Un vero caos. E non può certo stupire la disperazione di Monti che ha iniziato a rispondere stizzito alle dichiarazioni più demagogiche e false!

Nessuno ricorda nel Pdl, a parte Letta che però appare sempre più isolato, che lo scorso anno l’ondata di sfiducia dei mercati era partita proprio quando, dopo le elezioni amministrative, che avevano registrato per il Pdl la perdita del sindaco di Milano, dall’interno del partito di Berlusconi cominciarono a levarsi voci sempre più forti per imporre a Tremonti di allargare i cordoni della borsa, imputando a quel po’ di austerità che il ministro stava facendo, la responsabilità della sconfitta elettorale. Da quel momento gli investitori di tutto il mondo cominciarono a temere che l’Italia si sarebbe avviata sulla strada della Grecia e quindi vendettero a piene mani i nostri titoli di Stato. Berlusconi e Alfano e i loro scalpitanti colonnelli, vogliono ripetere quell’esperienza che è costata così cara ai cittadini?

Ma a parte le piccole beghe di casa nostra, bisogna prendere atto che ci troviamo in una situazione veramente critica, anche per il cattivo funzionamento delle istituzioni europee. E che dovremmo sforzarci di analizzare bene la matassa dei problemi così da poter individuare un filo che può indicarci una strada percorribile, invece di continuare con questo vociare confusionario che porta solo ad aggrovigliare ancora di più i problemi allontanando le soluzioni. E la priorità delle priorità per l’Italia è solo una: quella di abbassare i tassi d’interesse, cioè di riportare lo spread con i tedeschi al di sotto dei 100 punti e quindi il tasso di rendimento dei nostri titoli decennali al 2,5- 3%. A questo punto molti dei nostri problemi sarebbero risolti: il bilancio dello Stato risparmierebbe da subito 10-15 miliardi di interessi, le banche tornerebbero in equilibrio con i loro coefficienti patrimoniali e potrebbero riaprire il credito verso le imprese ed i mutui alle famiglie a tassi convenienti, la Borsa riprenderebbe fiato, insomma l’economia ricomincerebbe a girare. Questo del resto è quello che Monti aveva detto con chiarezza fin dal suo primo discorso di insediamento. Ma questo è anche quello che per ora non sta avvenendo,o almeno non avviene con la rapidità da tutti auspicata. Per quale ragione?

Per avere una discesa dei tassi occorreva un impegno solenne e credibile di puntare al pareggio di bilancio in breve tempo. E questo si poteva fare solo con un aumento delle tasse e con la riforma delle pensioni, come in effetti è stato fatto. Ma non basta. Per indurre un duraturo ritorno delle fiducia sulle prospettive a lungo termine dell’Italia (perchè un investitore che ti presta dei soldi a 10 anni vuole avere qualche certezza sulle prospettive) occorrono tutte quelle riforme strutturali capaci di rendere permenente un recupero di competitività. E qui le cose sono andate meno lisce sia sulle liberalizzazioni che sulla riforma del mercato del lavoro. Il terzo pilastro avrebbe dovuto essere quella della riforma dello Stato in modo da ridurre le spese e rendere più efficente il funzionamento degli apparati pubblici, dalla Giustizia alla amministrazione, così da poter avviare una graduale riduzione del carico fiscale. E qui, insieme alla vendita dei beni pubblici, siamo ancora a zero. Anzi il recente accordo tra Governo e sindacati sul personale della PA fa fare alcuni passi indietro ai pur timidi tentativi di riforma che erano stati fatti dal precedente Governo.

Sicuramente il conservatorismo dei partiti e dei sindacati ha esaltato l’inevitabile disagio dei cittadini chiamati a pagare più tasse ed a fare sacrifici sul posto di lavoro, imponendo grossi freni all’azione del governo e dando ai mercati l’impressione di un paese che, appena si è sentito al di fuori del pericolo di crack, tende a tornare alle vecchie abitudini. In ciò i politici sono stati aiutati da una informazione ansiogena che spesso lasciava capire che c’erano altre strade molto meno severe e dolorose per uscire dalla crisi. Ma il Governo non deve lasciarsi soffocare dalle emergenze. Non è con qualche piccola toppa che si ricostruisce la fiducia nel sistema Italia!

L’Europa non aiuta. La Bce dovrebbe poter comprare i titoli pubblici di quei paesi come l’Italia che hanno impostato un piano serio di risanamento delle proprie finanze pubbliche favorendo così la discesa dei tassi d’interesse. L’euro inoltre, mentre è sottovalutato per i tedeschi, è sopravvalutato per gli italiani e probabilmente per quasi tutti gli altri paesi europei, Francia compresa. Bisogna riaprire anche questi dossier, se non altro per dare maggiore forza alle richieste di Monti di non considerare gli investimenti nel conto del pareggio di bilancio e di riconoscere i debiti commerciali verso le imprese come uno scalino una tantum da togliere dalla spese dell’anno.

Ma per battersi in un’Europa con qualche probabilità di successo, Monti dovrebbe poter contare su un paese sufficientemente unito nel perseguire il proprio risanamento sia finanziario che strutturale, e capace di rifiutare le sirene di quanti fanno intravvedere facili scorciatoie o impossibili salvaguardie per questa o quella corporazione. In realtà la pubblica opinione, per quanto frastornata, sembra più propensa a credere al Governo che ai partiti che sono i responsabili della situazione di sfascio nella quale siamo precipitati e che per di più non riescono a riformare se stessi nè a por mano allo snellimento delle istituzioni. Come sottolineano sia l’amb. Romano che Giuliano Ferrara, il voto di domenica scorsa manifesta la massima sfiducia verso i partiti tradizionali ed in questo senso può essere un incoraggiamento a Monti per tirar dritto e portare a compimento in suo lavoro che sicuramente, a parte le turbolenze greche e spagnole, sarà coronato da una rilevante discesa dei nostri tassi d’interesse.

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