La quotazione di Facebook è ormai alle porte, e ancora una volta la più pirotecnica delle Ipo assumerà connotati ben più vasti di quanto gli indici di Borsa e le valutazioni degli analisti lasciano trasparire. La prossima settimana – secondo alcune indiscrezioni – potrebbe iniziare il “roadshow” del patron di Facebook, Mark Zuckerberg.
Il ventottenne tutto riccioli e lentiggini nativo di Dobbs Ferry, piccolo centro alle porte della Grande Mela affacciato sulle rive dell’Hudson, darà il via al “viaggio” attraverso cui i vertici del più grande social network mondiale tenteranno di attirare – come le api sul miele – i potenziali investitori.
La tempistica indica che la quotazione potrebbe andare in porto entro la fine del mese, ma non sono tanto le date quanto i valori in ballo a monopolizzare l’attenzione degli osservatori: l’azienda di Menlo Park potrebbe essere valutata tra i 75 e i 100 miliardi di dollari.
Zuckerberg, intanto, dopo aver acquisito Instagram, ne sta cercando cinque per accendere i fuochi d’artificio, ma prima di stappare lo champagne dovrà chiarire alcuni dubbi: quali sono le reali prospettive di crescita? Il network conta oggi più di 900 milioni di utenti, quanto potrà crescere in futuro, e quanto in fretta? Nonostante le vendite nel primo trimestre del 2012 siano cresciute del 45%, anche i costi si sono impennati, riducendo l’utile del 12% a marzo.
E non mancano precedenti di illustri fallimenti: le vicende della “bolla di internet”, che ha chiuso l’effervescenza borsistica di fine secolo, parlano chiaro. Basti pensare al declino di Netscape o del prodigio “iVillage“, startup fondata dalle ambiziose Candice Carpenter e Nancy Evans poi lanciata sui listini con scarso successo.
Lo scrittore Erik Larson la ricorda così: “per i profani – la quotazione ndr – sembrò magica, una compagnia eterea come l’aria guadagnò in un batter d’occhio un valore pari a più di due milioni di dollari”. Poi il crack. Continua Larson: “le azioni hanno vissuto un lungo e costante declino e nel 2006 la compagnia venne acquisita dalla NBC Universal per soli seicento milioni di dollari, 8,50 ad azione contro i 24 della quotazione iniziale”.
Eppure Candice Carpenter non era una sprovveduta: aveva capito molte cose che Zuckerberg, quando ancora veniva considerato uno “smanettone da garage”, nemmeno si sognava: le partnership con i pubblicitari, l’importanza di un marchio autorevole, la capacità di rivolgersi al mercato femminile. Tutti asset intangibili ma che fanno la differenza in quelle startup della rete che non possono contare su numeri altisonanti da mostrare agli investitori.
Ciononostante, mentre di iVillage oggi non parla più nessuno, Zuckerberg è arrivato a duettare sul palco con Obama e a guidare la più grande operazione di borsa di tutti i tempi, tra quelle inscenate sul web.
“C’è chi capisce fino a che punto internet cambierà il lavoro e il commercio nel prossimo millennio, chi può intuire fino a che punto si può detronizzare il mattone in favore del cyberspazio, e c’è chi non ci riesce”, fa notare Larson riferendosi al triste declino di iVillage.
E poi c’è l’America: la terra delle grandi disparità, ma anche quella in cui non è per puro caso che la pubblicizzazione di un’ Ipo si chiama “roadshow”, un’espressione che evoca il mito della “terra delle opportunità”, della costante ricerca di una via personale al successo, parte di quel “Grande Romanzo Americano” che tanti scrittori – da Melville a Fitzgerald, da Salinger a McCarthy – hanno tentato di scrivere.
Se l’Ipo della Ford, negli anni bui del maccartismo, ha scritto una parte di questa storia, la cavalcata di Facebook – ora nelle mani della Sec che deve ancora dare l’assenso all’operazione – può accendere un lume nell’oscurità della Grande Recessione. Almeno simbolicamente.