“Chi sa fare il costruttore faccia il costruttore. Chi opera nelle concessioni faccia il concessionario”. Ecco in sintesi, la filosofia di Pietro Salini, alla vigilia dei confronti in assemblea con il gruppo Gavio. Un interlocutore/avversario che l’imprenditore romano nomina solo di striscio nella sua lunga presentazione del gruppo attuale e quello che potrebbe essere nel caso andasse in porto la fusione Impregilo/Salini. “Operazione non aggressiva – ripete – ma che crea valore per tutti gli azionisti”, non esclusa la distribuzione di un dividendo straordinario reso possibile dalla distribuzione di parte delle risorse ricavate dalla vendita degli assets “no core”: Ecorodovias, l’autostrada sudamericana la cui quota in mano ad Impregilo vale 1,2 miliardi, più Fisia e Fisia Babcock, presenza nell’impinatistica che hacreato più crucci che profitti.
“La nostra proposta è di arrivare ad una fusione del business costruzioni di Salini ed Impregilo per dar vita ad un player in grado di raggiungere dimensioni internazionali”. I tre miliardi di oggi, ovvero la somma del fatturato dei due gruppi, non bastano. L’obiettivo è di arrivare nel 2015 a 7 miliardi, con sinergie derivanti dalla fusione per circa un miliardo ed un ebitda di almeno un miliardo (contro o 347 milioni di oggi delle due realtà separate) . Obiettivo fattibile anche perché l’integrazione geografica dei due gruppi, che assieme coprirebbero circa 50 Paesi, è ottimale. Non solo. “Nel nostro settore le dimensioni sono determinanti – spiega Salini –. Solo chi dispone della taglia necessaria può partecipare alle grandi opere che presentano grandi margini”. Il track record del gruppo romano, inoltre, è di tutto rispetto: Salini dispone di un saldo positivo di cassa attorno ai 45 milioni dopo aver digerito un’acquisizione impegnativa come quella della Todini che nel 2009 accusava un indebitamento di 200 milioni circa mentre oggi vanta un ebit positivo per 25 milioni dopo aver ridotto i debiti verso il sistema bancario (15 milioni).
Fin qui il progetto industriale, in larga misura già noto. Ma come arrivarci? Il gruppo Gavio, che attraverso Astm, controlla il 29,9% del capitale contro il 25,2% detenuto da Salini (investimento attorno ai 250 milioni), non lancia segnali di disponibilità. Si arriverà ad un’Opa? Salini non rivela le sue intenzioni ma sottolinea che “un progetto di questo genere non si realizza contro la volontà di un 30% del capitale, anche se, in via opotetica, si avesse il controllo del restante 70%”. Per questo, par di capire, non sono all’orizzonte nuovi acquisti. Ma il condizionale è d’obbligo. Anche la richiesta di dimissionare il cda con un anno di anticipo non è, almeno in teoria, un gesto ostile verso Gavio. “Su 15 consiglieri – sottolinea Salini – 8 fanno riferimento a soci che non ci sono più, Benetton e Ligresti. A chi rispondono questi signori? “. Si potrebbe arrivare, si è ipotizzato in questi mesi, ad un eventuale spezzatino di Impregilo: da una parte le concessionarie, care a Gavio, dall’altro il business delle costruzioni. Ipotesi inesistente, replica Salini, perché contraria alla filosofia del piano. “L’obiettivo – spiega – è di dar vita ad una società con dimensioni e finanza in grado di operare sui consumi grazie a dimensioni e risorse in grado garantire un investment grade adeguato per competere nei Grandi Lavori. Per questo proponiamo di vendere gli asset non core ma di mantenere le risorse in azienda. Un break up, al contrario, priverebbe Impregilo sia di asset che delle risorse”.
Non ci sarà, dunque, la grande spartizione. O un compromesso. Semmai, Salini si dice pronto ad affrontare una lunga marcia. Per niente spaventato dalle liti con i cugini. “Per paradosso – spiega – ci hanno aiutato a crescere. Siamo stati obbligati, in un certo senso, a dotarci di una governance adeguata, con strutture manageriali. Oggi la nostra non è una family company, dal punto di vista della gestione”.
La prossima mossa tocca a Gavio. Anzi, ai vertici di Impregilo che hanno convocato una conferenza stampa per illustrare dopo l’assemblea di bilancio del 26 aprile, il nuovo business plan approntato a tempo di record per contrastare il pressing di Salini.