L’agricoltura, insieme all’intera filiera agroalimentare e al settore del “green”, rappresenta un comparto strategico per l’economia italiana. Dalle filiere che promanano dall’agricoltura può venire un contributo rilevante alla costituzione di un vantaggio comparato che restituisca alla nostra economia la capacità di crescere a ritmi più sostenuti e di attrarre investimenti. L’agricoltura come laboratorio di un’idea di rilancio, in grado di coinvolgere l’offerta e la domanda, le proiezioni sull’estero come i consumi interni, l’autonoma iniziativa imprenditoriale insieme alla capacità di fare rete e filiera e a una necessaria progettualità di “policy”. E’ una sfida difficile, ma meritevole di attenzione. Lo scenario della globalizzazione e della grande crescita delle economie “ex” emergenti ha riportato l’agricoltura al centro. La progressione demografica del mondo nuovo, l’aumento del contenuto proteico delle diete alimentari di centinaia di milioni di persone, la crescita di importanza dei biocarburanti, gli effetti del cambiamento climatico, la finanziarizzazione delle commodity sono fattori che convergono nel rendere la terra coltivabile una risorsa scarsa sempre più ambita e i suoi frutti oggetto di intensa speculazione.
Le linee di tendenza sono chiare. Per esserne consapevoli basta scorrere le pagine dell’edizione 2012 dell’annuario statistico della FAO, l’istituzione delle Nazioni Unite responsabile per l’alimentazione e l’agricoltura. Oggi la quantità di terra arabile disponibile per ciascun abitante del pianeta ammonta solo a due decimi di ettaro, meno della metà della disponibilità esistente cinquanta anni or sono. Le disponibilità pro-capite sono scese soprattutto nelle aree più popolose dell’Asia e nel Vicino Oriente. Una situazione migliore è quella delle economie di antica industrializzazione e dell’Europa. Le terre fertili scarseggiano, mentre il fabbisogno alimentare aumenta. La FAO stima che nel 2050 la produzione agricola globale dovrà crescere del 60 per cento rispetto ai livelli del 2005-07.
La corsa alla terra (il cosiddetto “land-grabbing”) costituisce già oggi il tema di un fondamentale confronto geo-politico, in cui i grandi paesi emergenti, ricchi di mezzi economici ma poveri di terre coltivabili, e le multinazionali agricole e finanziarie divengono titolari di milioni di ettari, localizzati soprattutto nel Sud del Mondo. Insieme allo shock del cambiamento climatico, l’agricoltura mondiale affronta l’incognita di una nuova dimensione della “governance” delle risorse alimentari. Il ruolo dell’Europa, della Politica Agricola Comune e delle agricolture dei singoli paesi membri, non potrà non confrontarsi con queste nuove sfide.
In questo grande contesto di cambiamento, i risultati dell’agricoltura italiana hanno attestato una “resilienza” migliore di altri settori nel reggere all’urto della recessione del 2008-09. Valutato a prezzi costanti, nel 2011 il valore aggiunto dell’agricoltura è risultato di circa cinque punti percentuale inferiore ai livelli pre-recessione del 2008. In Italia, l’agricoltura è calata meno dell’industria (-13%) e delle costruzioni (-18%). Ma, nella media dell’area euro, tra il 2008 ed il 2011 il valore aggiunto di agricoltura, silvicoltura e pesca ha segnato un più cinque per cento. C’è un divario tra Eurozona e Italia che si è ampliato e che va presto richiuso.
Guardando al mercato del lavoro, i dati destagionalizzati dicono che al quarto trimestre del 2011 gli occupati nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca sono 831mila, con un calo di 38mila unità rispetto alla fine del 2007 (-4,4%). Anche se minore delle riduzioni rilevate per l’industria (-7,0%) e per le costruzioni (-8,0%), la contrazione dell’occupazione agricola è un segnale delle difficoltà del settore. Difficoltà ora aggravate dalla nuova recessione in cui è entrata l’economia nazionale.
Dal punto di vista del credito, a gennaio 2012 i prestiti bancari al settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca ammontano a 43,7 miliardi di euro, lo stesso valore di novembre 2011. Nel caso dell’agricoltura, quindi, non si rileva la diminuzione registrata congiunturale rilevata per altri comparti. Nondimeno, all’interno del dato totale dei prestiti la componente del credito in sofferenza raggiunge a gennaio 2012 un peso pari all’8,4% contro il 7,6% registrato solo alla metà del 2011. L’agricoltura è un settore ad alta intensità di credito. All’agricoltura, silvicoltura e pesca va il 2,6% del totale dei prestiti a imprese, famiglie e altre controparti economiche: una proporzione di un terzo maggiore rispetto all’1,7% che costituisce il contributo del settore al prodotto interno lordo nazionale. Per un tessuto fatto essenzialmente da piccole e piccolissime aziende il mantenimento di un ordinato accesso al credito rimane essenziale. I rischi sull’accesso al credito causati alle imprese agricole dalla recessione e dalla crisi dei pagamenti vanno contrastati anche attraverso iniziative “ad hoc”. Un esempio è l’accordo con cui BNL mette a disposizione un plafond di 1 miliardo di euro per tutte le aziende associate alle 19 Federazioni regionali, alle 95 sedi provinciali e ai centinaia di presidi comunali, attraverso i quali Confagricoltura opera in Italia.
Rilanciare l’agricoltura italiana significa consolidare un percorso di crescita dimensionale che è avviato da tempo ma che deve ora accelerare. Tra il 2000 e il 2010 il numero delle aziende agricole italiane è diminuito di circa un terzo, mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) è mediamente cresciuta da 5,5 a 7,9 ettari. Ci si muove nella direzione giusta, ma il gap con gli altri paesi europei rimane cospicuo e si è, in alcuni casi, addirittura accresciuto. Nel 2010 la SAU media aziendale ha raggiunto i 56 ettari in Germania, con un incremento di ben 19 ettari sull’anno 2000.
Fare rete e fare filiera. Per un’agricoltura italiana ancora fortemente baricentrata sulla piccola dimensione e sulla gestione familiare l’obiettivo della crescita dimensionale può essere validamente perseguito lavorando sulle connessioni tra le imprese e sulla cooperazione. Anche in agricoltura lo strumento dei nuovi “contratti di rete” introdotti con la legge 122/2010 offre concrete e importanti opportunità che vanno dalle economie di innovazione ai vantaggi fiscali e a una migliore bancabilità delle imprese partecipanti.
Il futuro può tornare in cascina, ma le cascine debbono fare rete, innovare, coltivare la qualità e i talenti che già oggi rendono l’agricoltura italiana una terra di tante eccellenze. Eccellenze talvolta in ordine sparso, che sono chiamate a generare insieme una massa critica economica e culturale. L’Italia dispone di un formidabile patrimonio di prodotti agroalimentari di qualità. Sono 229, secondo dati aggiornati a luglio 2011, le DOP e le IGP prodotte da un bacino di 82.120 aziende con produzione certificata. Solo nel segmento dei vini i DOC sono 362 di cui 60 DOCG3. Accanto il vino, una menzione va all’olio di oliva, le cui esportazioni nel 2011 hanno segnato un balzo record con l’invio all’estero di oltre 400mila tonnellate di prodotto per un incasso dell’ordine di 1,2 miliardi di euro. Non meno importanti risultano i successi dell’agricoltura italiana sul fronte delle produzioni biologiche4.
L’Italia è il primo produttore mondiale con metodi biologici di ortaggi (con 28mila ettari, otto volte il dato della Spagna, altro grande protagonista nel biologico), di cereali, di agrumi, di uva e di olive. Nel comparto biologico dell’agricoltura italiana la quota delle donne imprenditrici sale al 25 per cento, mentre l’incidenza dei laureati tra gli imprenditori raggiunge il 17 per cento.
Accanto ai prodotti di qualità, si fa strada una cultura più vasta della qualità agricola e alimentare intesa sia come produzione sia come modello di consumo. E’ questa la strada vincente. Scegliere Il prodotto italiano non solo per le sue qualità organolettiche ma anche per un insieme di altri “plus” ai quali un consumatore evoluto e consapevole attribuisce un valore importante. Comprare italiano perché diamo valore alla sostenibilità ambientale, alla promozione delle tradizioni produttive e della cultura locale, alle filiere corte, alla tracciabilità e al “chilometro zero”, a un’idea di qualità agroalimentare fondata sui principi del “buono, pulito e giusto”.