La riforma del lavoro l’ha oscurato. Ma il capitolo del decreto liberalizzazioni che riguarda lo scorporo della Snam da Eni è destinato a tornare presto al centro dell’agenda politica. Anche perché sul tavolo delle trattative ci sono nuove ipotesi. Eni avrebbe architettato una soluzione per non scontentare azionisti e Governo. Un’ipotesi che piace al viceministro all’Economia Vittorio Grilli, ma che manca ancora dell’ok di Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico, e del premier Mario Monti. Ma soprattutto della Commissione europea. Un via libera tutt’altro che scontato. Ma andiamo con ordine.
Governo e Eni sono in trattativa. L’amministratore delegato del gruppo, Paolo Scaroni, sta spingendo per l’individuazione di una road map condivisa. Il cane a sei zampe vuole una vendita che piaccia ai soci delle due società. Il ministro Passera e il primo ministro d’altra parte premono per una Snam completamente indipendente, ma sempre sotto il controllo pubblico, e soprattutto senza che l’ottenimento della quota di maggioranza gravi sulle esigue casse dello Stato.
La chiave potrebbe essere nel 9,3% di azioni Eni che Scaroni ha accumulato negli anni al vertice della società. L’idea è quella di annullarle. Di conseguenza il resto degli azionisti vedrebbe aumentare la percentuale delle proprie azioni.
A beneficiarne in primo luogo sarebbe proprio lo Stato, che tra le quote in portafoglio alla Cassa depositi e prestiti e quelle del Ministero dell’Economia, controlla il 30,3%. A seguito della separazione delle quote di Scaroni, il numero di azioni dello Stato salirebbe al 33,4%, 3,4% in più del necessario a mantenere il controllo sulla società. Una percentuale che il Governo potrebbe vendere per incassare il denaro necessario ad acquistare un primo pacchetto del 17-19% di Snam.
Il passaggio successivo della soluzione toccherebbe al cda di Eni. La società dovrebbe a quel punto dare l’opzione ai soci di risquotere dividendi futuri in cash oppure in azioni Snam. Tocco finale a Cdp e Tesoro, che opterebbero per la seconda soluzione, incassando un altro 10% del pacchetto azionario Snam.
La soluzione potrebbe non piacere al mercato, allontanando l’ipotesi di una fusione tra Snam e Terna e la possibilità che con la privatizzazione si creasse una buona possibilità di investimento in Borsa. E soprattutto potrebbe non piacere alla Commissione europea, in grado di sollevare l’ipotesi di violazione delle regole della concorrenza. Anche perché, di fatto, l’operazione che dovrebbe portare il 29% di Snam allo Stato è una nazionalizzazione. Nemmeno troppo celata.