Al palo Fabian Cancellara, per la rovinosa caduta domenica scorsa al Giro delle Fiandre, c’è solo un grande favorito per la Parigi–Roubaix di questa Pasqua: è il belga Tom Boonen, che punta a vincere per la quarta volta, raggiungendo il record del suo connazionale Roger De Vlaeminck, la corsa più folle e anacronistica che il calendario ciclistico preserva gelosamente, con il suo vecchio e sconnesso pavé, il fango nero che rende una maschera il volto degli atleti appena le nuvole scure e gonfie del Nord scaricano pioggia.
Dalla foresta di Arenberg fino al traguardo sarà gran ciclismo. La Roubaix non ha mai tradito lo spettacolo anche quando a vincerla a sorpresa è stato un outsider come è successo l’anno scorso con Johan Vansummeren. Boonem, che quest’anno ha già trionfato alla Gand–Wevelgem e al Giro delle Fiandre, è dato a 3 dai bookmakers che collocano a 8 Pozzato e a 15 Ballan, quota che il corridore italiano divide con Sylvain Chavanel e Juan Antonio Flecha. La voce altro, cioè la sorpresa, è quotata a 7. E tra le possibili sorprese in prima fila sono in molti a mettere Thor Hushvod, il norvegese leader della Bmc, la stessa squadra di Ballan.
Finalmente anche due italiani, grazie alle buone prestazioni di Pozzato e dello stesso Ballan, rispettivamente, secondo e terzo dietro a Boonen domenica scorsa nella Ronde dei classici e terribili muri, partono in questa Roubaix con il ruolo di principali “anti-Boonen”. Pozzato vorrebbe vincere nel ricordo di Franco Ballerini, il campione e poi Ct della nazionale tragicamente scomparso l’anno scorso, che sul traguardo al velodromo di Roubaix visse i momenti più belli della sua carriera agonistica. Le sue imprese sul tremendo pavé del Nord sono state ricordate in questa vigilia anche da Giorgio Squinzi, prossimo presidente della Confindustria, grande appassionato di ciclismo, in un’intervista al Giornale. Con la Mapei Squinzi ha vinto cinque Roubaix, due con Ballerini, altre due con Johann Museeuw e una con Andrea Tafi. “La Roubaix è una corsa che mi trasmette emozioni uniche. Di Franco – ha detto Squinzi – ho tanti ricordi, soprattutto oggi nel mio ufficio ho proprio quella pietra, simbolo di una corsa mito, che mi regalò tre mesi prima di morire nell’incidente di rally”.