I derivati continuano a mietere vittime. E oggi è la volta dell’Italia. Il Tesoro infatti ha pagato 3,4 miliardi di dollari (circa 2,6 miliardi di euro) per estinguere contratti derivati sui tassi di interesse che aveva con Morgan Stanley in quanto, secondo una fonte vicina al Ministero riportata da Bloomberg, rinnovarli era diventato per lo Stato più oneroso che estinguerli. A gennaio la banca d’affari americana aveva ridotto la propria esposizione netta verso “il secondo Paese più indebitato d’Europa” di uno stesso ammontare: 3,4 miliardi di dollari. Valore che corrisponde alla metà di quello che Mario Monti spera di recuperare con l’aumento dell’Iva (tra i 6,6 e gli 8 miliardi di euro). I contratti derivati erano in auge dal 1990.
Quello che più spaventa è che, secondo i calcoli di Bloomberg, l’Italia avrebbe perso circa 31 miliardi di dollari sui derivati al loro valore attuale di mercato. Tutto questo mentre Morgan Stanley ha registrato un aumento dei profitti di 600 milioni di dollari nel quarto trimestre imputabile alla scissione dei contratti con l’Italia.
“Le perdite dimostrano la natura speculativa di questi contratti”, ha dichiarato il senatore Enrico Lannutti a Bloomberg, “e la supremazia della finanza sui nostri governi”.
Se forse ci siamo liberati di un peso diventato troppo costoso, rimane da capire perché in primo luogo si sono sottoscritti tali contratti. Secondo una fonte a conoscenza degli stessi, quando negli anni 90 il debito era diventato troppo oneroso, il Governo avrebbe deciso di rifugiarsi negli swap sui tassi d’interesse per tagliare i costi. Una scelta, che se ha portato benefici nell’immediato, non sembra essere stata abbastanza lungimirante.
