Tra meno di due settimane la Giunta di Confindustria designerà la persona che da maggio sostituirà la Marcegaglia alla guida dell’Associazione degli imprenditori. Un passaggio delicato a causa del mutato panorama interno ed internazionale nel quale le imprese devono operare, della crisi in Italia delle associazioni intermedie che non hanno più quel ruolo anche politico che hanno volto in passato, e degli stessi mutamenti del sistema politico appena avviate.
Come spesso succede in periodi di crisi, questa volta il sistema Confindustria mette in campo due cavalli di razza: Giorgio Squinzi ed Alberto Bombassei. Diversi per temperamento e per le intenzioni con le quali si candidano a presiedere l’associazione imprenditoriale, hanno tuttavia una biografia personale molto simile. Entrambi hanno oltre 65 anni, interrrompendo così la spinta al giovanilismo che ha portato ad un aumento del peso dei professionisti dell’associazionismo a scapito di chi invece basa la leadership sulla propria storia imprenditoriale e su quella della propria azienda. Entrambi hanno portato al successo su scala internazionale le proprie imprese, Mapei e Brembo, facendone due esempi di quelle multinazionali tascabili che oggi sono l’asse portante del nostro sistema industriale. Ma sono marcate anche le differenze tra i loro programmi sia sull’organizzazione del sistema confindustriale, sia sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei sindacati e in generale del mondo politico.
Squinzi ritiene che Confindustria non abbia bisogno di grandi cambiamenti al di là di qualche razionalizzazione in modo da risparmiare un po’ e se possibile offrire maggiori servizi ai soci. Sul piano sindacale afferma che è necessario evitare lo scontro e che con il dialogo si raggiungono risultati migliori, cosa che sicuramente è riuscita alle aziende del settore della chimica, ma che nella meccanica è assai più difficile. Quanto ai rapporti con la politica Squinzi respinge qualsiasi etichetta partitica ed insiste molto sulla necessità di andare avanti con le riforme ed arrivare soprattutto alla riduzione del peso della burocrazia che ostacola molte iniziative imprenditoriali, così come è indispensabile arrivare al contenimento del carico fiscale.
Bombassei insiste di più sulla necessità di una vera e propria rifondazione della Confindustria, non solo della sua burocrazia, ma del suo modo di stare nella sociatà italiana, della sua impostazione culturale e della sua prassi operativa. Con ciò magari spaventando tanti presidenti di associazione e tanti burocrati che nell’attuale tran tran trovano il loro spazio operativo. Rispetto ai sindacati Bombassei appare più determinato a ottenere profondi cambiamenti negli assetti contrattuali spostando il peso dal contratto nazionale a quello aziendale dove è più facile fare accordi di scambio tra salario e produttività. Sui rapporti con la politica Bombassei rimarca, come Squinzi, la propria distanza dai partiti, ma anche in questo caso sembra più propenso a dare battaglia per ottenere una vera e duratura riduzione del ruolo dello Stato e degli Enti locali che hanno ormai occupato enormi spazi che invece devono essere lasciati al mercato.
Poi c’è la questione Fiat. Non c’è dubbio che l’uscita di Marchionne dalla Confindustria sia stata una ferita grave nella vita dell’associazione. Per Bombassei è una ferita da sanare al più presto portando la Confindustria ad accettare molte delle istanze di flessibilità poste dalla Fiat, mentre per Squinzi la frattura si può sanare solo se la Fiat rientra nelle regole associative e si adatta a ricercare con pazienza accordi con la controparte sindacale senza andare allo scontro. La Fiat insomma è la cartina di tornasole di approcci molto diversi sia ai problemi sindacali che, più in generale, ai problemi di modernizzazione del paese che per Squinzi si possono fare solo con il consenso, mentre Bombassei sembra propendere per atteggiamenti più decisi, magari mettendo in conto qualche rottura più o meno clamorosa. Del resto è storia antica. Anche nell’80 quando ci fu un mese di occupazione della Fiat poi conclusa dalla marcia dei quaratamila, la Confindustria rimase alla finestra e solo a cose fatte approvò l’operato di Romiti. Così come la disdetta della scala mobile dichiarata unilateralmente dall’allora presidente Lucchini, suscitò una serie di riprovazioni da parte del mondo politico e tanti timori e perplessità anche all’interno del sistema confindustriale. Insomma, in Italia ogni tanto ci vuole qualche azione di rottura senza la quale sui tavoli di discussione non si riesce a fare un passo avanti. E Squinzi dovrebbe stare attento a non ripetere l’errore di Montezemolo (la cui presidenza viene da lui per altri versi criticata) che consegnò di fatto le chiavi di qualsiasi trattativa alla Cgil, rimanendo così per quattro anni in attesa che Cofferati fosse pronto a sedersi al tavolo! Ed irritando in questo modo Cisl e Uil.
Infine c’è il tema delle rispettive squadre di presidenza. Entrambi dovrebbero fugare i sospetti di aver barattato il voto in Giunta con la promessa di una vicepresidenza o di qualche altro posto nell’organizzazione. Un simile comportamento, se davvero fosse stato messo in atto, darebbe un nuovo colpo all’immagine ed alla credibilità della Confindustria, avvicinandola alla prassi partitica che oggi non gode di molta stima presso gli italiani. Così come promettere alla Margegaglia la presidenza de Il Sole 24 Ore sarebbe un ulteriore passo verso quella professionalizzazione della carriera confindustriale da parte di imprenditori marginali o di rampolli di dinastie industriali che non trovano collocazione nelle aziende di famiglia, che certo non giova all‘associazione che deve marcare la sua diversità rispetto al sistema italiano basato su cordate o vincoli di appartenenza che prescindono dal merito. E la Marcegaglia ha già dimostrato con la nomina a direttore di Riotta, di non poter vantare una particolare competenza nel settore dell’editoria.
Questa volta la scelta del nuovo presidente della Confindustria riveste una grande importanza. Gli associati si trovano di fronte a due candidati di primissimo piano. Persone che possono portare all’associazione il prestigio che si sono conquistati in tanti anni di lavoro nelle rispettive aziende. Il senso profondo della decisione che si dovrà prendere riguarda il modo con il quale la Confindustria che rappresenta, o dovrebbe rappresentare, la parte più innovativa del Paese, vuole partecipare allo sforzo di cambiare abitudini e mentalità che il Governo Monti sta cercando con i suoi provvedimenti, di indurre in tante categorie di cittadini.