Già qualche mese fa il ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, aveva parlato di ‘guerra valutaria’. Ascoltando la sofferenze dei produttori brasiliani (e sono molte anche le aziende italiane che hanno interessi in Brasile), oppressi dal rapido apprezzamento (nominale e reale) del cambio, il governo aveva introdotto delle tasse sugli ingressi di capitale, e adesso questi disincentivi sono stati allargati (colpiscono i prestiti fino a tre anni). Il ministro dà la colpa del cambio (troppo) forte del real alle politiche monetarie espansionistiche in America ed Europa: la liquidità così creata sciacqua in giro per il mondo e va a investirsi in paesi in crescita e con tassi di interesse attraenti.
Queste due caratteristiche – crescita e alti tassi – fanno tuttavia sì che i disincentivi di per sè non produrranno molto effetto. I tassi di interesse in Brasile sono da sempre alti – oggi i tassi sui titoli a 10 anni sfiorano l’11% con un’inflazione al 6% – e non possono che attrarre capitali in cerca d’autore. Perché i tassi reali di interesse sono così elevati in Brasile? Anche un recente studio del Fondo monetario si dichiara perplesso sulle ragioni di questa elevatezza, e finisce per attribuirla, tentativamente, alla segmentazione del mercato del credito.
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